Recensione su Limbo

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Telenovela patinata / 11 Dicembre 2022 in Limbo

Basta essere non del tutto sprovveduti per capire che le aziende, in genere, calvacano certe istanze sociali per i propri interessi. Non è lo svelamento di chissà quale banale complotto, è semplicemente la maniera in cui funziona il capitalismo.
Per questo mi fanno molto ridere opere che, come Limbo, ci raccontano la maturazione e la redenzione dei propri ricchissimi protagonisti attraverso l’adozione, da parte dei suddetti, di pratiche più inclusive per conto delle aziende che gestiscono, celandone invece lo scopo propagandistico, e raccontando la realtà in maniera naif se non proprio superficiale. (Ultimamente l’ho visto fare anche in Corro da te, la commedia con Favino e la Leone).
In fondo non ci sarebbe nemmeno niente di male, ognuno porta avanti la visione di mondo che vuole, ma la cosa veramente sorprendente è che i creatori di Limbo sono due autori solitamente sovversivi, iconoclasti e satirici come Cohn e Duprat. Sembra strano che abbiano a che fare con questa storia che – oltre a prendersi così dannatamente sul serio, cosa di per sé già insolita per i due – dietro al progressismo di facciata nasconde una visione del mondo reazionaria.

In generale, però, essendo tutta orientata verso la sua protagonista, Limbo riesce almeno a trovare un po’ di senso e forza in lei e nell’attrice che la interpreta. Sou, questo è il nome del personaggio – già di per sé esteticamente interessante, una sorta di “versione weird” di Penelope Cruz (più precisamente, somiglia a Italia, il personaggio che la Cruz, imbruttita col trucco, ha interpretato in Non ti muovere) – aggiunge al resto una bella recitazione corporea, che raggiunge il picco nel modo tutto particolare di sedersi.
Collegato a quest’ultimo punto, un altro merito è che la regia, anche se a intermittenza, non è la solita regia da mestieranti che ci viene propinata nelle serie, ma una attenta al dettaglio e, soprattutto, una che fa trasparire da ogni inquadratura il suo amore, se non proprio feticismo, per il corpo della propria protagonista.
Tutti questi, però, sono pregi che non riescono a innalzare il livello di una serie che – oltre ai problemi ideologici (problemi miei, ad altri potrebbero giustamente non interessare) – alla fin fine, è poco più di una telenovela patinata.

Meno male che su Disney plus c’è anche Il Boss del Condominio, altra serie di Cohn & Duprat, che – lavorando benissimo sull’umorismo, sul conflitto di classe e non facendo sconti a nessuno – riesce a ricordarci di cosa siano veramente in grado i due autori.

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