Recensione su The Beatles: Get Back

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serie tvThe Beatles: Get Back
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L’esperienza seriale dell’anno / 27 Novembre 2021 in The Beatles: Get Back

Che esperienza incredibile che è questo documentario!
Passi 8 ore (ovviamente le mie non sono state consecutive, se no non credo che starei ancora qui per poterle raccontare) con quattro ragazzi che, incidentalmente, sono anche i Beatles. O coi 4 Beatles che, incidentalmente, sono anche 4 ragazzi di 28 anni, con tutto ciò che questo comporta. Quindi, innanzitutto, passi 8 ore con quattro persone che per la maggior parte del tempo cazzeggiano. Questo significa che, per stare dentro la storia e non annoiarti proprio mai, si debba essere sempre consapevoli della cosa a cui si sta assistendo – cioè a una delle 2/3 band più importanti della storia nei giorni precedenti al loro ultimo spettacolo dal vivo – ma significa anche che, dopo 8 ore, inizi a voler loro un bene incredibile. Questo innanzitutto perché si capiscono le dinamiche di gruppo esistenti – non molto dissimili da quelle di un qualunque gruppo di amici – e i caratteri dei 4. C’è quello che non è mai serio, cioè John; c’è quello più sensibile, che vorrebbe più considerazione dagli altri, cioè George; c’è l’amicone di tutti, Ringo; e c’è quello che vuole controllare tutto, il più cacacazzi, cioè Paul. Paul, però, è anche quello cinematograficamente più interessante, quindi quello a cui ci si affeziona di più, perché di lui traspaiono più sfaccettature del carattere: se è vero che sovente richiama gli altri all’ordine e spesso vuole che le cose vengano fatte come dice lui, è anche quello a cui sembra faccia più paura l’idea che l’esperienza dei Beatles possa finire, quello più legato all’idea di loro 4 insieme. Al contrario di un John troppo preso da Yoko (chi la odia già, dopo questo documentario, la odierà di più; gli altri, invece, cominceranno a odiarla), di un George che vuole qualcosa di più del poco che gli concedono gli altri due e di un Ringo a cui sembra andare bene tutto.
Il lavoro fatto da Peter Jackson è incredibile. Ci sono varie scene che fanno capire quanto ci sia tanto anche della sua mano e che non si tratti solo di un grande sforzo di archeologia audiovisiva. Un esempio su tutti è la scena in cui, a 3 giorni dalla deadline e dopo tantissime opzioni scartate, finalmente qualcuno propone di farlo sul tetto, ‘sto benedetto spettacolo, e Jackson, ovviamente grazie al montaggio, zoomma sul viso di un Paul Mccartney finalmente illuminato dalla proposta.

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