Recensione su Una storia senza nome

/ 20185.813 voti

Ondivagante / 31 Agosto 2021 in Una storia senza nome

Una storia senza nome di Roberto Andò, presentato in concorso a Venezia 2018, è un pastiche di generi cinematografici e toni narrativi che unisce eventi reali ad altri di pura finzione, generando un film ondivagante, (volutamente?) incerto se essere dramma, thriller o commedia nera.
Il difetto più grande del film (che temo fosse, in realtà, un obiettivo di Andò) sta proprio nella sua natura spuria, che, in fin dei conti, interdice lo spettatore.
L’interpretazione dell’attrice protagonista, Micaela Ramazzotti, rafforza questa indeterminatezza: spesso, apprezzo la Ramazzotti, ma in questo caso la sua recitazione (che, qui, mi sento di definire oltremodo didascalica, affettata) amplifica (ripeto, volutamente?) l’artificiosità della messinscena.

Nel complesso, lo spirito generale del film mi ha ricordato certe trovate letterarie di Andrea Camilleri (con cui Andò, successivamente, ha anche collaborato), il che non è affatto un demerito, anzi, visto pure che Leonardo Sciascia, mentore di Camilleri, ha usato lo stesso pretesto narrativo di Andò (il furto avvenuto nel 1969 de La natività del Caravaggio dall’Oratorio di San Lorenzo di Palermo, per scrivere la sua ultima opera, il racconto Una storia semplice.
Ma -ripeto- l’intento di Una storia senza nome (un film che parla di film, di tanti film, dopotutto) non sembra mai chiaro (e le musiche puntualmente cariche di pathos di Marco Betta non aiutano a discernere la natura della messinscena, che pare sempre drammatica anche quando vira al buffo).

Lascia un commento