I pugni in tasca

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I pugni in tasca

Quattro fratelli vivono in una isolata villa di campagna con la madre cieca: fra di loro, tutti con personalità piuttosto disturbate, si instaurano dinamiche molto particolari, soprattutto fra Augusto, pragmatico e arrivista al quale sembra tutti riconoscano lo status di capofamiglia, e Alessandro, idealista ma inconcludente, morbosamente attaccato alla sorella Giulia.
laschizzacervelli ha scritto questa trama

Titolo Originale: I pugni in tasca
Attori principali: Lou Castel, Paola Pitagora, Marino Masé, Liliana Gerace, Pier Luigi Troglio, Jeannie McNeil, Irene Agnelli, Sandra Bergamini, Celestina Bellocchio, Lella Bertante, Stefania Troglio, Gianni Schicchi, Mauro Martini, Tino Molinari, Gianfranco Cella, Alfredo Filippazzi, Mostra tutti

Regia: Marco Bellocchio
Sceneggiatura/Autore: Marco Bellocchio
Colonna sonora: Ennio Morricone
Fotografia: Alberto Marrama
Costumi: Gisella Longo
Produttore: Enzo Doria
Produzione: Italia
Genere: Drammatico
Durata: 105 minuti

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Famiglia in dissolvenza / 27 Novembre 2016 in I pugni in tasca

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Riflessioni sparse)

Al suo esordio nel mondo del lungometraggio, il giovane Bellocchio diede vita con risultati narrativamente ed esteticamente notevoli ad una torbida metafora sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, una parabola critica sulla struttura della famiglia tradizionale che, però, pur letta in un’ottica pre-sessantottina, non può essere intesa solo come evento profetico di un mutamento sociale in fieri: l’opera di Bellocchio, particolarmente complessa, analizza l’ipocrisia che sovente aleggia intorno al concetto di “famiglia” (intesa come nido pacifico e intoccabile) e l’anacronismo insito nella sua rappresentazione classica.

La cecità e l’abbandono passivo di una madre fisicamente debole e moralmente evanescente e l’assenza completa del padre, mai neppure nominato, simulacri di una forma sociale completamente svuotata di qualsiasi valenza, sono i perni su cui si costruisce l’ambiente profondamente malsano della famiglia protagonista: come una sorta di male interiore, di cancrena occulta, il naturale sentimento di ribellione giovanile dei giovani componenti del nucleo famigliare esacerba malattie congenite (l’epilessia e, in Leone, forse anche una forma di ritardo mentale) e turbamenti sessuali (l’incesto di Giulia con Augusto e, ancor più, con Alessandro è palese), prendendo pericolose derive sociopatiche e criminali.

Ad eccezione del silenzioso e quasi invisibile Leone, alcuno dei rampolli della nota famiglia delle campagne piacentine (il padre era avvocato, Augusto potrebbe aver compiuto analoghi studi, ma, ora, la loro notorietà nei dintorni è legata esclusivamente alle loro sfortune, alla loro “malattia”) è incolpevole dei propri atti: la follia che li caratterizza è lucida, calcolatrice e, perciò, terribilmente spaventosa, anche quando sembra essere connessa ai rispettivi e comprensibili aneliti di affrancamento dall’ambiente famigliare e dalle convenzioni sociali ad esso legate.
In particolare, Alessandro è votato ad una progressiva eliminazione degli elementi deboli della famiglia, intesi non tanto come un peso economico (quel tipo di riflessioni sono appannaggio di Augusto), quanto come un fardello psicologico, un blocco materiale e mentale che sembra impedirgli di portare a termine un progetto personale.
Pur dotato di intelligenza e di una particolare forma di acerba sensibilità che lo rende ora odioso, ora struggente, Alessandro non intende crescere in maniera convenzionale, si ostina a dichiararsi infelice e a ficcare metaforicamente i pugni nelle tasche, come un ragazzino che controlla a stento il proprio disappunto: il soddisfacimento dei suoi appetiti sessuali è legato al paragone con quelli del fratello (non a caso, sceglie per sé la stessa prostituta frequentata da Augusto e la mostra a Giulia), non ha voglia di diventare socialmente adulto (non vuole lavorare e, da bambino crudele qual è, desidera prendere la patente automobilistica solo per avere la possibilità di mettere in atto lo sterminio della sua famiglia), non è in grado di allontanarsi dalla casa in cui è nato e cresciuto ma che sarebbe disposto a distruggere, come dimostra il falò degli oggetti posseduti dalla madre, borghesi e “poveri” (vecchi, malridotti) allo stesso tempo.

L’immensa casa di architettura e distribuzione ottocentesca (Piero Chiara userebbe l’aggettivo “garibaldina”) è labirintica, soffocante, zeppa di cose ed oscura come le menti deviate dei suoi occupanti: dalle pareti occhieggia un numero imprecisato ma decisamente considerevole di ritratti di avi perlopiù sconosciuti, inquietanti e malevoli nella loro composta fissità. Ogni atto dei giovani di casa (l’ultima, maledetta generazione che, probabilmente, alla luce dei fatti raccontati, abiterà l’edificio) è soggetto al silenzioso (pre)giudizio e biasimo delle genti passate.

Una nota sulla scelta dei nomi dei quattro fratelli, che non mi è parsa affatto casuale, non tanto per la formazione culturale classica del padre avvocato: i nomi di Augusto, Giulia, Alessandro e Leone riecheggiano personalità e titoli altisonanti, che riportano immediatamente alla memoria dello spettatore la storia romana, ma anche quella della Chiesa cristiana, tra imperatori e papi, potere e dissolutezza. Nomen omen.

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. / 25 Maggio 2016 in I pugni in tasca

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ritratto di una famiglia borghese, dalla quale emergono contraddizioni, marciume, rabbia e crudeltà. Bellocchio riesce tramite una messa in scena minimale e ad ambienti claustrofobici a far risaltare i personaggi e i loro comportamenti, anomali e imprevedibili. Riesce perciò in modo semplice e con scene geniali a criticare ferocemente il modello famigliare perbenista, scomponendolo e analizzandolo meticolosamente in ogni sua sfumatura e contraddizione. “I pugni in tasca” è un capolavoro, è un film iracondo ma leggero come una piuma nel dipingere azioni impensabili come il matricidio o trattare temi come l’incesto. La fame di denaro è il motore dietro alle azioni di Alessandro, la voglia di riscattarsi socialmente ,di trovare un luogo nel mondo, che non sia la Val Trebbia. Tuttavia quando si accorgerà di essere un “diverso”, uno psicopatico, e che non c’è spazio per lui nella società, anche se per farsi posto è arrivato al punto di uccidere, sarà già troppo tardi…

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10 Agosto 2012 in I pugni in tasca

L’efficacia della pellicola risiede nelle novità dell’impianto stilistico in grado di lacerare il passato con una messa in scena svincolata da dogmi cinematografici e nell’irruenza con cui il regista tratta temi “delicati” come rapporti familiari, malattia fisica e mentale. Parte del merito della riuscita del film va attribuita alle interpretazioni degli attori principali tra le quali brilla quella di Lou Castel che ha donato al suo personaggio, Sandro, una malinconica follia ornata da una fredda crudeltà di uno splendore senza pari. Il cinismo del film, tra l’altro, è un mezzo necessario a rappresentare la palingenesi della generazione che da lì a pochi anni sarà protagonista dei movimenti del ’68.
Personalmente lo trovo un film favoloso, tra i più ribelli dell’epoca, uno dei migliori esordi cinematografici!

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