Recensione su The Report

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Esempio di cinema d’inchiesta / 9 Dicembre 2019 in The Report

The Report è uno di quei film di denuncia che, periodicamente, più o meno dagli anni Settanta in poi, gli USA producono per fare didattica su un caso di mala-politica/giustizia/sanità.
Su due piedi, penso (ovviamente) al cinema d’inchiesta di Pakula (Tutti gli uomini del Presidente con Redford-Hoffman), ai vari film sull’omicidio di Kennedy (Oliver Stone, Roger Donaldson), fino a produzioni più recenti come Il caso Spotlight di Tom McCarthy, The Post di Spielberg o Erin Brockovich di Soderbergh.
Allora, mi dico, non è un caso se questo nuovo film Amazon, che ipoteca qualche nomination a Globes e Oscar 2020, è diretto da quello Scott Z. Burns che, in veste di sceneggiatore, ha lavorato a lungo proprio con Soderbergh, firmando gli script di diversi suoi lavori (The Informant!, Contagion, Effetti collaterali), compreso il suo ultimo film Netflix, Panama Papers, un altro titolo inscrivibile in questo filone.

L’impianto di The Report è canonico (scoperta di un’incongruenza all’interno del sistema amministrativo, difficoltà e pericoli nel portarla a galla, frustrazioni, riconoscimenti), ma anche per questo è molto solido. Uno dei suoi punti di forza, secondo me, è il montaggio, molto lineare e, quindi, utile per permettere al pubblico di intuire (più che comprendere, in verità) i meccanismi deviati che l’hanno generato e foraggiato nel tempo.

Adam Driver è un protagonista estremamente efficace, ha la presenza scenica e la compostezza adeguate per interpretare un uomo moralmente solido come Jones. Nel cast, anche Annette Bening e Jon Hamm.

2 commenti

  1. GabriAPAD96 / 26 Luglio 2020

    C’è l’intento, a mio giudizio, di emulare in molti aspetti l’opera di Pakula, in particolare per quanto concerne le location (la maggior parte delle scene avvengono all’interno di uffici (per me) al fine di aumentare il senso di angoscia e frustrazione che prova il povero Jones). Sono però in disaccordo sulla presenza scenica di Driver in questo caso, che, diversamente dalla coppia Redford – Hoffman, è davvero poco carismatico nel suo intento ( a me ha annoiato non poco quella sua area da “usciere comunale”). Insomma il taglio documentaristico è apprezzabile al fine di comprendere appieno i fatti ma, visto il tema trattato (al giorno d’oggi già affrontato anche da altri film), avrei prezzato un po’ di pathos in più.

    • Stefania / 27 Luglio 2020

      @gabriapad96: credo che il “segreto” della scelta e dell’interpretazione di Driver sia proprio nel suo aspetto da “usciere”, come dici tu, e nell’assenza di eroismo e dinamicità del suo personaggio 🙂 Nel film di Pakula, Redford e Hoffman, che citi, erano uomini d’azione fatti e finiti, Tutti gli uomini… è un -come dire- action da ufficio (posso? Eh eh). Ma chi scopre questo tipo di magagne, di solito, non è un uomo d’azione, è un animale da scrivania, un uomo normale che si ritrova in situazioni straordinarie (un po’ come molti dei personaggi dei film di Hitchcock, la butto lì).

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