Recensione su The Imitation Game

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The Imitation Game: ispirazione classica / 7 Gennaio 2015 in The Imitation Game

(Sette stelline e mezza)

Pellicola impeccabile, dalla confezione fino alle interpretazioni, che emoziona fino all’ultimo istante.
Cinema di impronta classica, onesto nella sua linearità, ben orchestrato, sorretto da una sceneggiatura solida e da attori in spolvero, su tutti, ça va sans dire, Cumberbatch.

Il difetto maggiore di The Imitation Game (se tale può essere considerato), forse, risiede nel tono a sensazione di tutti gli eventi: i personaggi sono presentati con entrate in scena quasi clamorose e battute fulminanti, insomma in situazioni che fatico a credere possano mai svolgersi così, nella vita reale. Vada per la sospensione della realtà e gli artifizi narrativi, comunque.

Non conoscevo affatto il regista, Morten Tyldum: mi converrà, forse, recuperare il suo maggior successo, ad oggi, tale Headhunters, campione d’incassi norvegese del 2011.

Duole profondamente sapere che una personalità brillante come quella di Turing sia stata fatta oggetto di discriminazioni ed umiliazioni come quelle a cui è stato sottoposto in vita: posto anche il veto decennale derivante dal segreto di Stato, bisogna ammettere che le scuse della Corona sono arrivate davvero in maniera tardiva.

Nota personale 1: sarà per via del doppiatore italiano a cui è affidato il personaggio di Turing, ma -chiudendo gli occhi- pare di sentir parlare ed agire Sheldon Cooper. Stesse idiosincrasie, perbacco. Irrispettosamente parlando, ci manca solo un bel: “Bazinga!”, ed il gioco è fatto.
Nota personale 2: elegantissimo Matthew Goode. Dato che Rupert Everett è ormai irriconoscibile, lo scettro di Dylan Dog potrebbe passare a lui. Purtroppo, nel momento in cui dichiara: “L’amore fa fare strane cose”, sembra pronto ad offrire ai presenti una scatola di Ferrero Rocher. Potere (deviante) della pubblicità!

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