Recensione su Pollo alle prugne

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Fiaba persiana moderna / 16 Giugno 2012 in Pollo alle prugne

Marjane Satrapi è una delle donne più intelligenti della nostra epoca. Fumettista sublime e regista soventemente in crescita, rappresenta una delle migliori scoperte acquisite dal cinema europeo negli ultimi decenni(lei è di nascita iraniana, ma naturalizzata francese, e il suo cinema risente positivamente di entrambe le diverse eppur simili etnie). Per il secondo lungometraggio realizzato con il fido Vincent Parannoud, la regista non si serve più dell’animazione(tranne un breve e a tratti nostalgico ritorno alle origini in uno dei mini racconti contenuti nel film), come fatto nel precedente e bellissimo Persepolis, ma preferisce raccontare una storia con attori in carne ed ossa. E questo Poulet aux prunes(Polle alle prugne in Italia) parla appunto di persone, e nello specifico di tutte le relazioni possibili tra persone anche diversissime). Il film è la triste storia di un amore impossibile, tragico e romanticissimo. Nasser Ali è uno dei migliori suonatori di violino esistenti. Un giorno, dopo un furioso litigio, la moglie rompe questo violino e fa sprofondare in uno stato di depressione il povero violinista. Dopo aver ricercato senza successo un violino capace di sostituire il suo, l’uomo decide che è meglio aspettare la morte stando seduto nel suo letto. In questa attesa gli ripassano davanti i momenti salienti della sua vita: l’eterna rivalità con il fratello, il difficile rapporto con i figli e con la moglie mai amata e il suo vero amore, dato ad una donna il cui padre non aveva permesso le nozze e quindi perso per sempre. Il film ha la leggerezza eppure la fantasiosa morale di una favola persiana, a cui per definizione si ispira e anche la leggiadria delle forme tipica del cinema francese, cinema di adozione per l’ideatrice del tutto, la brava Satrapi. La storia è sviluppata attraverso un intricato meccanismo di flashback e flash-forward, in cui il protagonista della vicenda, Nasser Ali(un abbastanza convincente Mathieu Amalric), rivede la sua vita e immagina quella dei figli quando lui non ci sarà più. Il film viaggia su frequenze abbastanza tipiche per il suo genere, senza cadere mai nei propri clichè, a volte anche solo accennati(un po’ stantia forse la parte da sitcom, forse evitabile), ma nel risultato totale francamente è poca cosa. La poetica stralunata e lunatica dell’autrice si riversa completamente nei personaggi, anche in quelli dalla psicologia appena accennata e soprattutto negli oggetti. Pensare che è proprio il violino l’inizio e la fine di tutta la storia, e anche l’oggetto su cui ruota tutta l’attenzione di regista, protagonista e pubblico. Presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2011, il film è un’attenta commedia romantica, spacciata per finto dramma cameratesco, in cui si cerca di dare ulteriori significati alla parola amore. Quando Nasser Ali perde il suo vero amore, per colpa di un padre che rifiuta che la figlia sposi un musicista preferendo all’uomo un soldato, lui riversa tutto il suo amore nel violino e con la rottura di questo, è come se si spezzasse il suo cuore e se perdesse una parte di sé, una parte destinata a non ritrovarsi più. Non è un capolavoro il film, ma è sincero e colpisce al cuore al punto giusto, da poter essere considerata un’opera riuscita e soprattutto un piccolo gioiello della produzione degli ultimi tempi. La scena finale è da antologia: le lacrime della Farahani hanno dentro di loro tutto il significato del film e anche oltre. L’amore (non) è (mai) una cosa semplice.

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