Recensione su Senza lasciare traccia

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Un rifugio nei boschi / 25 Marzo 2022 in Senza lasciare traccia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non bisogna scambiare Senza lasciare traccia per un film sulla ricerca di una vita a contatto con la natura. La natura in cui i due protagonisti sono immersi è un mezzo, non un fine, e ha dunque qui solo la funzione di uno sfondo, per quanto visivamente dominante. Il motivo che spinge padre e figlia alla vita nei boschi è un individualismo ridotto alla cellula elementare della famiglia, e che è l’effetto non di un’astratta ricerca della libertà ma della patologia estrema della vita sociale: la guerra, di cui il padre porta ancora i segni nella psiche. A nulla valgono le lusinghe della società, qui mostrata nel suo aspetto migliore, con servizi sociali ideali, ma anche nella sua vacuità, tra alberi di natale, concorsi di conigli e messe domenicali. Ma neppure basta – non per tutti, almeno – la comunità marginale più ristretta e accogliente, che riserva ai due un camper “un po’ più isolato” dagli altri e che simbolicamente coltiva la passione per le api, l’insetto sociale per eccellenza. La necessità ha il sopravvento, per quanto strazianti siano le sue conseguenze, e si può solo sperare che l’ultimo, tenuissimo legame, appeso letteralmente a una cordicella, non sia spezzato.

Ottimo film, di un realismo che concede poco o nulla all’estro cinematografico, commovente senza essere sentimentale. Bravissimi i due protagonisti Ben Foster e Thomasin McKenzie, che rendono perfettamente credibile l’affetto profondo che lega padre e figlia.

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