Recensione su Lawrence d’Arabia

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Lawrence d’Arabia
Regia:

Amo il deserto perché è pulito / 13 Giugno 2016 in Lawrence d’Arabia

Quello che è indubbiamente uno dei kolossal più celebri del Novecento si basa sulla vera storia di T.E. Lawrence, agente segreto britannico inviato tra alcune tribù arabe del medio-oriente per fomentare la rivolta anti-turca durante la prima guerra mondiale. Un soggetto tratto dalle memorie dell’ufficiale, raccolte nel libro I sette pilastri della saggezza.
Un personaggio eclettico e stravagante quello di Lawrence, che si fa portatore degli interessi arabi, abbracciandoli in prima persona, con un idealismo non si sa quanto genuino (ma che Lean e Bolt sposano in pieno).
Interpretato quasi alla perfezione da Peter O’Toole, pressoché esordiente nel mondo del cinema, ma già affermato a teatro in ruoli shakespeariani, il personaggio di Lawrence è affiancato da attori che agiscono magistralmente, tra cui emergono Omar Sharif e Anthony Quinn che interpretano, rispettivamente, i capi tribù Ali e Awda, in modo impeccabile.
Un film di grande impatto visivo e di grande suggestione, soprattutto per il fascino delle ambientazioni esotiche. Il meraviglioso deserto (che Lawrence ama perché “è pulito”), i cammelli / dromedari, le oasi, gli abiti tipici arabi: cose che sono entrate nell’immaginario collettivo (in un’epoca in cui la globalizzazione non si sapeva cosa fosse) anche grazie a questo film, che ebbe un grande successo di pubblico.
Ma è anche un film che costò un occhio della testa – circa 15 milioni di dollari del 1962 – a causa della durata (che supera le tre ore e mezza) e della varietà delle locations (fu girato principalmente in Marocco, Spagna, Giordania e Inghilterra).
La durata, tuttavia, non è per nulla pesante grazie ad un regista che ha saputo infondere uno spirito epico pressoché ad ogni scena, con risultati a tratti entusiasmanti (Spielberg ha dichiarato di vedere Lawrence d’Arabia ogni volta che deve cominciare a girare un nuovo film).
Incetta di oscar (ben sette), come da previsioni, tra cui non potevano mancare, oltre a quelli di peso (miglior film e regia), quello per la scenografia, la fotografia e la colonna sonora.
Questi ultimi due reparti artistici vedranno premiati, rispettivamente, Freddie Young e Maurice Jarre, i quali inaugureranno entrambi una serie da tre statuette vinte tutte per film diretti da David Lean, uno dei più grandi registi inglesi del Novecento (forse il più grande insieme ad Hitchcock), nonché colui che ha saputo mettere d’accordo critica e pubblico come pochi altri.
La fotografia di Young (nel costoso formato 70mm) è degna di una mostra da National Geographic, mentre il tema di Jarre è semplicemente indimenticabile e dona anch’esso una connotazione epica unica.

2 commenti

  1. paolodelventosoest / 14 Giugno 2016

    Maurice Jarre è stato davvero un genio, forse oggi poco conosciuto. Scriveva davvero ritornelli indimenticabili: penso, oltre agli archi orientaleggianti di questo magnifico film, al tema di Lara in Zivago e pure a quello struggente del Gesù di Zeffirelli (per quanto il film sia modesto).

  2. hartman / 14 Giugno 2016

    sì, Jarre è sicuramente nell’olimpo dei migliori compositori di colonne sonore per il cinema… con Lawrence d’Arabia e Zivago è stato l’assoluto dominatore della prima metà degli anni Sessanta, scalzando Herrmann da questo ruolo… poi però sono arrivati i Morricone e i John Williams a monopolizzare l’attenzione mondiale (soprattutto il secondo)… forse per questo è effettivamente poco conosciuto al giorno d’oggi… @paolodelventosoest

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