Recensione su Highwaymen - L'ultima imboscata

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Quel precisino di Hancock / 30 Marzo 2019 in Highwaymen - L'ultima imboscata

Highwaymen – L’ultima imboscata (The Highwaymen) è un altro film originale Netflix che, sulla carta, ha tutte le qualità per fare il botto, ma che, alla fine, pur portando a casa il risultato, dà l’impressione di essere solo uno spreco di potenziale e denaro.
Qui, solo il cast fa tremare i polsi: Kevin Costner, Woody Harrelson, Kathy Bates, John Carroll Lynch (uno dei migliori “caratteristi” di Hollywood e del cinema indie, uno di quelli che vedi in tutti i film ma non sai mai come si chiama).
I fatti raccontati sono da leggenda: la materia narrativa è l’epopea di Bonnie e Clyde, incarnata al cinema in maniera imperitura da Warren Beatty e Faye Dunaway nella Gangster Story di Arthur Penn e cantata anche da Serge Gainsbourg e B.B.
La sceneggiatura è firmata da John Fusco che, dalla fine degli anni Ottanta, si è specializzato nel raccontare eroi e antieroi della frontiera, vecchia e nuova (i due Young Guns, Cuore di tuono, Spirit, Hidalgo) e che ha già lavorato con Netflix, creando e sceneggiando una delle prime serie tv originali di successo della piattaforma, Marco Polo.
Il regista è John Lee Hancock, avvezzo a trattare “storie vere” (vedi, Alamo, The Blind Side, Saving Mr. Banks e The Founder), uno che fa il suo lavoro in maniera molto ordinata, pulita, lineare…

Ecco: Hancock è un precisino che non fa mai sussultare sulla poltrona. Highwaymen è un film ben girato dal punto di vista tecnico, ma estremamente didascalico nella resa, incapace di declinare in maniera vagamente originale l’argomento guardie e ladri. Hancock ha lavorato anche con Eastwood, e -secondo me- si vede, sceneggiando Mezzanotte nel giardino del bene e del male e, soprattutto, Un mondo perfetto, un’altra “caccia all’uomo” nell’America rurale. Ma a lui sembra mancare qualcosa, per raggiungere la compiutezza del miglior Eastwood regista. Forse, una maggior carica di cinismo (la retorica c’è già, e in abbondanza).

C’è un aspetto interessante in Highwaymen che, però, a mio parere, viene sfruttato poco e male. Siamo nel 1934, fotografia e cinema si sono già affermati come strumenti di comunicazione e divulgazione di massa e lo spettatore “cinematico” è una nuova forma di pubblico pagante, assetato di contenuti. Il film di Hancock prova a suggerire quale sia il peso di questo fruitore della cronaca “rappresentata” nel processo di creazione di un mito (negativo).
Nel personaggio di Costner (che, qui, dopotutto, fa bene il suo lavoro e che, ironia della sorte o calcolo, non so, dopo aver inchiodato per frode Al Capone ne Gli intoccabili di De Palma, va all’acciaffo di un altro mito dell’epica gangster, pedinando la Barrow gang proprio come il segugio di Chicago Elliot Ness fece con lo sfregiato), si concentra la critica alla spettacolarizzazione mediatica del crimine che, a conti fatti, si afferma nel Novecento.
Bonnie e Clyde, qui come forse mai altrove, sono concepiti (dal texas ranger e, quindi, dallo sceneggiatore e dal regista, che provano a imporre la loro visione delle cose a chi guarda il film) come psicopatici che uccidono senza uno scopo preciso, forse anche con una vena di sadismo (in particolare Bonnie). Frank Hamer/Costner li definisce “bestie”. Eppure, la gente li ama perché rapinano le banche in piena Depressione, perché sono giovani, vitali e ribelli in un’epoca di sofferenza generale, perché dimostrano che, in una visione distorta del self-made man fordiano, chiunque, sfruttando le proprie capacità, può diventare celebre, anche se è un criminale efferato. Insomma, questo sembra il momento-chiave in cui la società ha perso di vista il significato dell’atto criminale, trasformandolo in un evento mediatico di cui nutrirsi.
Ma tutto questo viene mostrato in poche occasioni, un po’ frettolosamente, e, secondo me, senza che la critica risulti esplicita e vagamente articolata.

Non è un caso che i volti dei due fuggitivi non siano mai visibili nel corso del film, una scelta che mi è sembrata azzeccata, per renderli “inanimati” e ridare il giusto peso alle loro azioni.

[Occhio, SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER]

Anche per questo mi è sembrato poco coerente mostrarli nella sequenza finale del tranello: perché?
Fra l’altro, purparlé, mi è successa una cosa strana: la comparsa sullo schermo dei visi di Bonnie e Clyde mi ha quasi spaventato, con un inaspettato effetto da film horror (sarà stata colpa del trucco, di alcuni elementi posticci sul volto degli attori: forse indossavano lenti a contatto che ne dilatavano le pupille? Non so).

7 commenti

  1. TraianosLive / 30 Marzo 2019

    @Stefania il tempo di scrivere due righe e mi trovo la tua recensione pubblicata in contemporanea…che sincronia 😀

  2. Stefania / 30 Marzo 2019

    @traianoslive: 😀 e abbiamo dato anche lo stesso voto

  3. TraianosLive / 30 Marzo 2019

    @Stefania Comunque è vero…alla fine del film quando vediamo in volto Bonnie&Clyde hanno degli occhi assurdi. Sembrano quelli di una lepre illuminata da un TIR in corsa.

    • Stefania / 30 Marzo 2019

      @traianoslive: esatto, avevano un’espressione spaventata, oltre che spaventosa. Ed è per questo che mostrarli così mi è sembrata una scelta poco coerente. Quell’espressione da Bambi sotto allucinogeni cozza contro tutto, anche con il loro gesto successivo (le mani sulle armi). O, forse, è stato fatto così proprio per ribadire il concetto che l’apparenza non c’entra(va) niente con l’essenza. A questo punto, non so. Però, avrei preferito continuare a considerarli “fantasmi” come hai scritto tu. Almeno, questo film avrebbe avuto un che di originale per essere ricordato.

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