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Il diritto di contare

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“o raggiungiamo l’obiettivo insieme o non ce la faremo mai” / 24 Gennaio 2020 in Il diritto di contare

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Meravigliosa interpretazione delle protagoniste. Un film che racconta di un momento della storia che non si può dimenticare, indice del più alto livello di stupidità umana durante il quale il colore della pelle ha rappresentato un ostacolo non indifferente allo sviluppo dell’intelligenza e del progresso. Nel film si racconta la storia di tre donne di colore che seppure dotate di grandi capacità intellettuali, abili con i numeri come pochi, subiscono le ingiustizie delle leggi razziali che impediscono loro di godere degli stessi diritti dei colleghi bianchi. Emozionante la scena in cui viene letteralmente buttata giù l’insegna con su scritto “colored ladies room” e incisiva la frase “o raggiungiamo l’obiettivo insieme o non ce la faremo mai”, con cui si decreta la rottura con le assurde leggi razziali in vigore. Il film ha delle note ironiche sottili attraverso le quali si celano le ingiustizie di un sistema sbagliato che a volte sa essere crudele e spietato. Avere un alto livello di intelligenza purtroppo non coincide necessariamente con il possedere anche una coscienza. Avvincente e forte come il titolo stesso ci suggerisce, il film cattura il cuore di un pubblico sensibile.

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La pelle non conta / 28 Gennaio 2018 in Il diritto di contare

Ottimo film sulla storia di tre donne afroamericane che, negli anni della segregazione razziale, si fanno strada nella Nasa.
Katherine (Taraji P. Henson) è una brillante matematica ed insieme alle colleghe Dorothy (Octavia Spencer), supervisore non riconosciuto, e Mary Jackson (Janelle Monae), aspirante ingegnere, lavorano alla Nasa.
Siamo nel 1961, epoca razzista e un po’ bigotta; loro sono tre afroamericane intelligenti e ambiziose e dovranno lottare contro i pregiudizi (anche o soprattutto in un’azienda come la Nasa) dei colleghi.
Splendido film che fa storcere il naso sui soprusi a cui era sottoposta la gente di colore; bagni separati, fontanelle dell’acqua distinte e molto altre limitazioni per gli afroamericani. In più c’è la corsa per mandare il primo uomo nello spazio tra Usa e Russia a fare da sfondo (ma non troppo) alla storia.
Katherine, con la sua grande mente matematica, darà un grosso contributo alla squadra addetta al primo volo spaziale capitanata da Al Harrison (Kevin Costner); dovrà lottare con l’ingegnere capo Paul Stafford (Jim Parsons) che non la rispetta per niente. Invece Mary Jackson dovrà lottare per conquistare il diritto di diventare il primo ingegnere afro-americano; con l’arrivo del calcolatore IBM 7090 sembra che per le matematiche di colore (che hanno un reparto a sè nella Nasa) non ci sia più spazio ma Dorothy la vede lunga e inizierà a studiare il linguaggio di programmazione Fortran che servirà per programmare il calcolatore e lo insegnerà alle sue collaboratrici per non farle restare disoccupate.
Film intenso, interessante che fa emozionare con la lotta contro i pregiudizi razziali ma anche con i passi avanti per spedire il primo uomo nello spazio.
Nel resto del cast da citare Kirsten Dunst nei panni dell’acida Vivian Mitchell, supervisore del gruppo di colore.

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Film conciliante / 29 Maggio 2017 in Il diritto di contare

Film conciliante, in cui tutte le punte finiscono per smussarsi: il misogino diventa tuo marito, la razzista ti dà la sospirata promozione, il misogino-razzista diventa coautore dei tuoi articoli scientifici, il capo è ruvido-ma-buono. Persino Taraji P. Henson sembra talvolta voler levare un po’ di gravitas al proprio personaggio.
Da lodare comunque senza riserve lo sforzo di gettare luce su figure rimaste ingiustamente nascoste e sui loro meriti.

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Guarda e impara / 21 Marzo 2017 in Il diritto di contare

E’ la storia di tre donne forti, intelligenti e determinate.
Il film si sviluppa in vari ambiti: quello familiare e quello lavorativo sono i più toccati. Sono 127 minuti , non pochi, ma è come qualcuno che ha troppe cose da dire ma non ha tempo per farlo. Così il film: sono numerose le questioni da trattare ma non può continuare in eterno, anche se non ti viene voglia di alzarti dalla poltroncina, al contrario vorresti scoprire di più. Ci sono termini matematici e fisici specifici che o li sai o sono solo un contorno, ti affascinano o ti fanno sentire un minuscolo cervello tra i grandi della NASA.
La forza con cui tutte e tre credono in loro stesse e nelle loro capacità rende quasi facilmente affrontabile l’aspetto della discriminazione della donna rafforzato dal colore della pelle delle protagoniste. Certo il contesto è già più protetto rispetto a quello che poteva essere in “The Help”.
Storia di amicizia, di famiglia, d’amore e di rapporti lavorativi. Un film completo con un’ottima colonna sonora. Da far vedere a tutte le ragazze in fase di crescita: guarda e impara cosa puoi fare, in qualunque situazione ti trovi metti a frutto le tue capacità e vedrai che vinci.

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Bello. / 21 Marzo 2017 in Il diritto di contare

Un pezzo di storia che non sapevo.
Tre donne di colore all’inizio degli anni 60 cambieranno l’approccio dei bianchi verso persone di colore…..donne per giunta con intelligenza fuori dal comune in un campo strettamente maschile che sono state fondamentali per la riuscita dei lanci spaziali.

“QUI ALLA NASA LA PIPI’ HA LO STESSO COLORE.”

Edificante, ma convenzionale / 22 Febbraio 2017 in Il diritto di contare

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Dopo la scorrettezza all’acqua di rose di St. Vincent (2014), Theodore Melfi torna sul grande schermo con un altro film “edificante”, ispirato a un’emozionante vicenda realmente accaduta nella Virginia della segregazione razziale: all’ombra delle missioni aerospaziali della NASA dei primissimi anni Sessanta, si svolgono imbarazzanti vicende di discriminazione basate sulla razza e sul sesso.

Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson sono tre donne afroamericane impiegate, rispettivamente, in qualità di matematica, scienziata e fisica presso l’agenzia governativa spaziale statunitense: in varia misura, le loro conoscenze saranno fondamentali per permettere alla NASA di mandare in orbita i propri astronauti nell’ambito della lunga “corsa al cielo” con l’URSS.

Le protagoniste sono donne di colore: combinazione quantomai infausta: devono lottare contro i pregiudizi di una società biancocentrica che ne sminuisce qualsiasi merito, in virtù del sesso e del colore della pelle.
Questo assunto è sia lo stimolante motore della vicenda che il suo punto debole, perché, come tutte le storie probe costruite in maniera “elementare” su questa falsariga, il film divide nettamente le forze in scena tra buoni e cattivi, senza possibilità alcuna di notare sfumature nelle due fazioni forzosamente definite, secondo cui -semplificando all’eccesso- i buoni sono “interessanti” e i cattivi sono stolidi e, per sottolineare la loro stupidità, costoro hanno sovente espressioni del viso atteggiate al limite dell’idiozia (in questo film, c’è un attore, in particolare, tale Kurt Krause, che si esprime benissimo in quest’arte sopraffina: a fronte di pochissime battute, lo noterete certamente, per via della sua faccia da pugile “suonato”).

Al film di Melfi bisogna riconoscere l’indubbio merito di aver messo in scena un racconto gradevole, tale perché rassicurante nella sua positività e nei suoi numerosi lieti (e documentati) epiloghi.
La resa tecnica è molto buona, supportata da un ottimo reparto tecnico, dai costumi alla scenografia, passando per la colonna sonora originale composta da Hans Zimmer e Pharrell Williams: la storia si sviluppa in maniera ordinata, stimolando una certa passione e affezione da parte dello spettatore nei confronti delle simpatiche e decise protagoniste.

A fronte di questi elementi positivi e del suo impegno nel solco della sensibilizzazione su temi sociali che, ahimé, continuano a essere attuali, si tratta di un film estremamente convenzionale, che, al di là della specifica vicenda, sa di già visto, sia nella caratterizzazione che nella rappresentazione delle situazioni e dei suoi protagonisti.
Involontariamente, una battuta affidata a Octavia Spencer esprime bene l’effetto che questo tipo di prodotto produce: la signora Mitchell (un’acidamente accademica Kirsten Dunst) dice a Dorothy Vaughn (la Spencer) che non ha niente contro di “loro”, intendendo con tale pronome le persone di colore. La Vaughn le risponde (più o meno): “Lo so. So che questo è quello che le piace credere”. Hidden Figures, involontariamente, fa il gioco di tutti i Mitchell del mondo: è un film rassicurante in maniera didattica che, appiattendo per necessità narrative le asperità e la tridimensionalità delle parti in gioco, sembra voler mettere a posto le coscienze, mostrando piccole grandi battaglie con un afflato epico tipicamente americano che, purtroppo, sa di stantia autocelebrazione.

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