Recensione su Fortunata

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La periferia romana, con la sua miseria, i suoi sogni e la sua voglia di rivalsa. / 11 Giugno 2017 in Fortunata

Fortunata è una madre che vive le sue giornate cercando di assicurare alla sua unica figlia e a sé stessa un’esistenza dignitosa. Una donna determinata che, nonostante le sue fragilità, resiste a tanti, tantissimi urti. Separata da un marito rozzo e violento, fa la parrucchiera a domicilio e in nero. Ha un sogno nel cassetto, aprire una parrucchieria.
Dietro la protagonista sobbollono, come ci si aspetta, tutti gli elementi della povertà moderna, con i suoi pregi e i suoi difetti: la malasorte, il disprezzo per la propria condizione, la violenza, la sporcizia, l’illegalità, la solitudine, la disperazione più nera, la fame, la dignità, il rispetto, la solidarietà, i legami, la forza d’animo, la voglia di vivere e di salvarsi.

A fronte di alcuni elementi positivi del film – Jasmine Trinca, la protagonista, è bravissima, Alessandro Borghi anche, interprete di un uomo fragile e puro nell’animo. Perfino gli spunti narrativi sono magari “già visti” ma validi – , tuttavia non sono riuscito ad apprezzare la pellicola nel suo complesso.
Pur consapevole che le scelte richiamino, presumibilmente, il libro della Mazzantini -che non ho letto-, ho trovato la storia e la sua resa forzate in alcuni punti e sviluppi.

Premetto subito che sono solo riflessioni, senza alcuna pretesa e che avrei, anzi, piacere ad ascoltare anche altre opinioni.

Ammetto che la regia mi ha colpito negativamente in qualche sua scelta. Per esempio, l’utilizzo ripetuto del cambio di inquadratura per marcare di più il momento: morte tragica – spazio aperto, voglia di fuggire – uccello in volo, etc. .
Le musiche, che cercano in qualche modo di decontestualizzare lo spettatore con una trovata che ammetto di aver spesso amato (quando parte un bel pezzo rock, d’improvviso, su scena lenta, oppure una sinfonia rilassante su scena violenta e tragica) mi sono sembrate più un’ammiccata che una scelta stilistica o artistica.
Per quanto riguarda la trama e i suoi personaggi, a parte la protagonista che, ripeto, bravissima, gli altri rispondono a dei modelli forse troppo piatti, con un innesto anche discutibile in alcune parti del film.
Edoardo Pesce (“Sta banda nun se scioje co’ un par de vaffan**lo!”), mi è sembrato un personaggio dalle sfaccettature e dalle peculiarità, semplici sicuramente, ma altrettanto sottili. Il marito brutale, violento ed ignorante, ma anche immaturo culturalmente ed incapace a vivere le proprie emozioni da adulto responsabile, in sintesi il bullo di periferia quarantenne, avrebbe meritato, forse, una maggiore attenzione per una migliore incisività, che io, invece, non ho saputo cogliere.
Stefano Accorsi, è il medico stressato da una vita grigia e borghese. È benestante, ma serba anche lui la sua bella dose di evasione dalla routine. Accorsi, diversamente da Pesce, non mi è sembrato a suo agio nella parte. Forse più per l’archetipo che si è trovato ad interpretare, che per proprie responsabilità. Inoltre, la sua presenza nella trama mi è parsa alterare eccessivamente l’impianto del film, deviandolo da una linea narrativa che, a mio modo di vedere, doveva rimanere maggiormente ancorata al contesto della periferia e al sogno di Fortunata. Insomma, forse è un personaggio fuori posto o posto male, non so.
Anche se non mi ha convinto, non ho tanto da dire su Alessandro Borghi. Io ci ho rivisto gli occhi da tossico di “Non essere cattivo”, ma va bene anche così. Il personaggio rende meglio degli altri secondari e fa il suo dovere.

In conclusione, Fortunata mi ha lasciato ben poco come film in sé per sé.
Quasi spontaneo per me il richiamo a tante storie miserabili e ad un cinema del passato che ammiro e che rimane, ancora oggi, più attuale che mai ed insuperabile.
Tuttavia, è innegabile la sua carica di emotività nel trasmettere quella forza nascosta, quasi sovrannaturale, che solo le donne riescono ad esprimere, soprattutto quando sono madri.

2 commenti

  1. Stefania / 14 Ottobre 2019

    Caspita, mi trovi d’accordo su tutto: dalla prova “a disagio” di Accorsi (che personaggio inutilmente contraddittorio e inconcluso che gli hanno affidato!), passando per il mancato approfondimento del personaggio di Pesce (un concentrato di luoghi comuni abbozzati), fino all’uso sconsiderato delle musiche. Il tentativo di emulare quel “cinema del passato” a cui alludi è palese e, anche per questo, il risultato è molto deludente.
    P.s.: a differenza di altri film di Castellitto, qui la Mazzantini ha scritto una sceneggiatura originale, non c’è un suo romanzo di riferimento.

    • Harlan Draka / 15 Ottobre 2019

      Sì… Ho letto anche io la tua recensione e mi trovo perfettamente in linea.
      Non so, il cinema del passato rimane lì perché era sicuramente più vero (nei suoi molteplici significati), forse perché gli autori e registi conoscevano la miseria, la guerra e la fame… chissà… Un legame che oggi si è perso, purtroppo e per fortuna.

      ps. Pensavo fosse tratto da un romanzo e invece no. Grazie per l’informazione!

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