Recensione su I figli degli uomini

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Ottima Sci-Fi sociologica, dove il messaggio viene prima della trama. Consiglio a tutti di (ri)vederlo alla luce dell’attuale crisi dei profughi! / 12 Settembre 2015 in I figli degli uomini

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ho deciso di scrivere questa recensione dopo aver visto al telegiornale (settembre 2015) le raccapriccianti scene dei profughi Siriani in fuga dalla guerra che, raggiunta Macedonia e Ungheria, vengono accolti da filo spinato, calci, manganellate dei militari e razioni di cibo lanciate da di là delle recinzioni come fossero bestie. Meglio non fanno l’Inghilterra e la Francia, vista la situazione a Calais all’imbocco dell’Eurotunnel.
Vidi questo film circa dieci anni fa, appena uscito, e ben prima delle così dette “Primavere Arabe”, la nascita dell’ISIS e delle crisi dei profughi del 2013-2015… Al tempo mi parve interessante, con una marea di spunti di riflessione, ma con un finale un po’ troppo bonario, anche se imbellito da delle scene di guerra con dei piani-sequenza magnifici, con annesso schizzo di sangue sulla telecamera, chiaro tributo al Soldato Ryan di Spielberg. Insomma, un buon film di fantascienza, che si tradiva un po’ sul finale, lasciando la trama non troppo compiuta e un po’ tirata via.
Mi è capitato di rivedere il film recentemente, durante l’attuale (2015) crisi dei profughi, ed il mio giudizio è totalmente cambiato. Non aveva più importanza la trama tirata via ma i messaggi, che col tempo e con la situazione socio-politica attuale avevano assunto un’importanza e una forza enorme e terrificante! Sono stato male a rivederlo ed a confondere alcune sue scene, girate dieci anni fa, con ciò che vediamo attualmente al telegiornale! Posso quindi definirlo oggi un perfetto esempio di cinema fantascientifico sociologico (per capirci, come 1984, District 9, Elysium e… Wall-E!), che è riuscito incredibilmente (e malauguratamente!) a immaginare e riprodurre problemi sociali che stiamo vivendo adesso.

Fatta questa lunga ma, a mio vedere, doverosissima premessa per contestualizzare il film, procedo alla recensione vera e propria.
Il regista è il tecnicamente abile Alfonso Cuaròn, salito recentemente alla ribalta per il film Gravity, e già regista di altri film su commissione, come il terzo episodio di Harry Potter, questo I Figli degli Uomini, ed un paio di film romantico-sentimentali abbastanza carini (c’è anche Gwyneth Paltrow nuda). Il soggetto è preso dall’omonimo romanzo di una scrittrice britannica, e si nota infatti il tocco di un autoctono nella scelta di alcune locations simbolo di Londra ma non vetrina.
La storia è ambientata nel 2027 in un’ucronia, un futuro distopico non troppo lontano dal nostro dove il corso degli eventi ha preso una piega che ha portato le società al collasso: hanno smesso di nascere bambini da circa diciotto anni. Questo ha generato nella popolazione un estremo senso di frustrazione e di affetto represso, tramutatosi in rabbia, attentati e persino nell’omicidio del loro figlio più giovane, Baby Diego, di 18 anni. In questo delirio, le nazioni e gli stati sono crollati uno dopo l’altro, tramutandosi in zone di guerra e anarchia. L’unica ad essersi salvata sembra essere la Gran Bretagna, l’isola “felice”, al contrario di come era accaduto in altri film tipo 28 Giorni Dopo e Doomsday, dove invece era stata lei a trasformarsi in zona di guerra. Tuttavia non mancano anche qui i problemi; i governi sembrano applicare spietate misure repressive verso i dissidenti e, soprattutto, verso gli immigrati che giungono “coi barconi” in Inghilterra in fuga dalle guerre e dalle desolazioni che hanno dilaniato il resto del mondo. Vengono quindi detenuti in condizioni drammatiche, come bestie, in gabbie ed in ghetti dove regna sporco, fame e miseria. Intere città, come il gioiellino Bexhill, sulla costa Sud dell’Inghilterra, appaiono distrutte e trasformate in enormi campi profughi. Anche i cittadini britannici così detti “in regola” non se la passano benissimo! Il governo, per limitare le loro pulsioni (auto)distruttive, ha promosso l’utilizzo di un farmaco, chiamato Quietus, che ne permette l’eutanasia. In generale tutta la loro libertà è fortemente limitata; non sono questi infatti liberi di spostarsi dove vogliono, persino all’interno della propria città, dove per lunghi tragitti devono viaggiare in treni blindati, scortati dalla polizia. La trama si innesca appunto col rapimento del protagonista Theo (Clive Owen) da parte di un gruppo rivoluzionario, “i Pesci”, che protesta contro il governo e le sue politiche anti-immigrati, per riuscire a ottenere da lui un “lasciapassare” che permetta da Londra di raggiungere il sud dell’Inghilterra ed il mare. Theo sembra essere l’unico adatto al compito grazie ai suoi agganci con un parente, ministro dei beni culturali, o qualcosa di simile, e decide di accettare per sodi e su pressione della sua ex, che poi è la rossa Julianne Moore, e quindi chi non avrebbe accettato?!
La scena dell’incontro del protagonista col parente è una raccolta di riferimenti culturali: il “Ministero dei beni culturali” è la centrale elettrica Battersea Power Station di Londra, raffigurata sulla copertina dell’album Animals del gruppo britannico Pink Floyd. Fuori da questa si vede pure volare un pallone gonfiabile a forma di maiale rosa, icona del gruppo e presente nella copertina di Animals. All’interno vengono conservati i resti delle più importanti opere d’arte del mondo, salvate dalla Gran Bretagna dalla distruzione che ha investito gli altri stati: il David di Michelangelo, tristemente mutilato, ed il dipinto Guernica di Picasso. (Qui potrebbe nascondersi una morale per giustificare i furti sfrenati di opere d’arte da parte degli inglesi in tutto il mondo ma preferisco sorvolare!)
Ottenuto il lasciapassare, Theo accettata la nuova missione dei Pesci di trasportare lui due persone a sud fino al mare, motivato anche dalla scoperta che una delle due è una ragazza INCINTA e venuto a sapere dell’esistenza di un’iniziativa chiamata “Progetto Umano”, con lo scopo di riuscire in qualche modo a salvaguardare le poche persone al mondo rimaste ancora fertili, trasportandole tramite un’imbarcazione in un’altra “isola felice” lontano dalla Gran Bretagna e dal suo governo corrotto e delirante. Tutto il piano sembra in effetti molto fumoso ed incerto ed infatti è da questo punto in poi che il film si permea dell’idea di “fede”, intesa più che altro nel senso induista di karma e di salvezza ottenibile grazie alle buone azioni, e che caratterizzerà la trama fino all’epilogo. In prima battuta può sembrare che questo dia debolezza alla trama, in controtendenza rispetto alla forza delle idee che avevano caratterizzato la prima parte del film, ma, a pensarci bene (e illuminato dai recenti fatti di cronaca), cosa può rimanere se non la fede a persone disperate, senza niente e che fuggono dalla guerra in un paese delirante dove regna distruzione e caos?! Come dicevo, il film è fantascienza sociologica, in cui contano più i messaggi che la trama in sé.
Per portare a termine la missione serviranno massicce dosi di fede, per riuscire ad andare avanti e prendere decisioni nei momenti difficili. Mai fidarsi dei terroristi! E tanto meno del governo… Il viaggio verso il mare risulterà infatti molto complicato, traditi dagli stessi Pesci e da poliziotti doppiamente corrotti che fanno il doppio-doppiogioco, prima aiutando e poi cercando di uccidere.
Il finale è delirante e molto bello tecnicamente per il lunghissimo piano-sequenza che accennavo all’inizio. Dal punto di vista della trama, incentratasi ormai totalmente sui temi di fede e di karma, serve immedesimarsi completamente con questi per non sentire il finale del film un po’ troppo leggero (i militari che smettono di sparare?) ed incerto (Ci arriva? E adesso dove va?). Lo ammetto, richiede un certo sforzo di empatia da parte dello spettatore, che inizialmente io non ero riuscito ad avere. Adesso, dopo aver visto le stesse scene in TV, la cosa mi è risultata molto più facile ed ho apprezzato molto di più il film, che mi ha fatto un male terribile!

In conclusione, consiglio a tutti questo film, sia a chi lo ha già visto di rivederlo adesso dopo una “bella” iniezione di fatti di cronaca estera, e soprattutto ai molti che ancora non lo conosceva. A livello tecnico il regista ha girato un film molto valido, anticipando di molti anni tematiche diventate tristemente attuali e che ci riguardano pienamente. Il film è una chiara condanna verso le violenze dei governi, le repressioni, e verso i sentimenti xenofobi e anti-immigrazione (in forte crescita anche in Italia), che uno, sia esso lo spettatore del film o di un telegiornale, non può non condannare dopo la visione di certe scene di profughi al confine tra Serbia e Ungheria, o Francia e Inghilterra o nel Canale di Sicilia che siano.

Voto complessivo (senza troppo farmi influenzare dall’aspetto di attualità): 9 (10 a soggetto e temi, 8 alla trama e 9 alla regia)

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