Recensione su Beaubourg

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La libertà dello sguardo oggettivo / 18 Aprile 2024 in Beaubourg

Nel suo ultimo film televisivo, completato appena un mese prima della sua scomparsa, Rossellini abbandona la biografia storica e si cimenta nella piena modernità, quella dell’arte del Novecento, dell’architettura d’avanguardia e della cultura di massa. Lo fa con uno sguardo interessato ma impersonale, ponendo il punto di vista a distanza, ogni volta che gli spazi lo consentono. Vuole registrare il vero in modo oggettivo, lasciando a chi guarda la libertà di farsi una propria idea. Significativo a tal proposito il ruolo del sonoro, un sottofondo di frammenti di conversazioni reali molto diverse tra loro, che vanno dalle indicazioni sulla sicurezza e le spiegazioni delle guide, ai commenti dei visitatori sulle opere, compresi quelli più perplessi e bislacchi. L’approccio discreto giova alla naturalezza dei comportamenti. Uno stile distante dall’invadenza, la velocità, la didascalicità, l’emotività, lo storytelling del documentario odierno, ma ancora riscontrabile, ad esempio, nel cinema di Michelangelo Frammartino, dove solo l’ambientazione è differente, tutta naturale, laddove qui è tutta artificiale. In Frammartino anche la presenza umana è natura, qui anche la presenza umana è artificio, in quanto esplicitazione dell’uomo-massa.

Con poche lente panoramiche comprendiamo, fin dalla prima inquadratura, l’iconoclastia antimimetica del manufatto, che stride fortemente col contesto urbano, fatto di colori uniformi, tetti spioventi, foreste di abbaini e comignoli. Ma stride come può farlo un monumento; e proprio come una cattedrale gotica, il Centre Pompidou (o Beaubourg, dal nome del quartiere in cui è ubicato) esibisce il suo sistema tecnologico-costruttivo — non più blocchi di pietra variamente sagomati, ma cilindri, aste e tiranti di acciaio — offrendosi come nuova cattedrale laica della comunità parigina. Comprendiamo i criteri pop che tolgono ogni aura all’edificio museo e lo fanno somigliare, con la prefabbricazione modulare e gli impianti colorati a vista, a un grande contenitore industriale indifferenziato e flessibile, con pareti e pavimenti mobili, così da adattarsi meglio alle esigenze espositive, che cambiano nel tempo.

L’edizione di 76 minuti è corredata da un breve documentario nel documentario, che mostra le ultime immagini pubbliche disponibili del cineasta romano mentre dirige, in un ottimo francese, la troupe tecnica all’interno dell’edificio. Le sue indicazioni sono molto precise, ma parte del film, come accadeva già nel suo cinema di finzione, si crea in divenire, senza predeterminarla e con una buona dose di improvvisazione.

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