Recensione su Unorthodox

/ 20207.5116 voti

Fuga per la libertà in salsa soap / 26 Aprile 2020 in Unorthodox

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La fuga di Esty dall’oppressiva comunità ebrea ultraortodossa di Williamsburg è una storia vera. E come ogni fuga per la libertà genera subito quell’empatia che tira dentro chiunque. Ed infatti i primi due episodi (su quattro totali) giocano bene sull’equilibrio tra compassione e curiosità. Poi però chissà, forse per la deriva generalista di Netflix o perché magari il libro da cui è tratta era proprio così, tra le tante opportunità che gli si prospettano Unorthodox prende la strada del sentimentalismo da soap opera. Così il gruppo di amici appena conosciuti da Esty si rivela composto da tutti bravissimi e buonissimi ragazzi, anche chi sbatte in faccia ad Esty la sua mediocrità artistica lo fa così palesemente a fin di bene che non va sul ca**o neanche a lei. Per non parlare della loveline con un ragazzo che non esita nemmeno un istante nonostante Esty sia tutt’altro che conturbante e anche dopo non perde mai quell’aria sinceramente onesta da principe azzurro. Per non parlare del twist della madre che non l’aveva abbandonata ma anzi ha lottato con tutte le sue forze per portarla con sé. E già che abbiamo preso la piega da Libro Cuore, ci mettiamo anche una mezza redenzione del marito che mosso dal canto angelico della moglie intravede qualcosa di più oltre alla riproduzione. L’unico personaggio negativo, Moshe, è purtroppo tagliato con l’accetta quando invece avrebbe delle potenzialità altissime di conflitto visto che per lui riportare a casa Esty è occasione di redenzione verso quella comunità di cui in realtà è avulso tanto quanto lei. Serie secondo me sopravvalutata, viste le tematiche e l’impatto simbolico di alcune scene (bagno nel fiume come battesimo per una nuova nascita) ho l’impressione che avrebbe funzionato meglio come film.

1 commento

  1. Stefania / 27 Aprile 2020

    Sono d’accordo su (quasi) tutte le obiezioni che muovi alla serie, soprattutto sulla mancanza di “conflitti” con il gruppo di ragazzi con cui entra in contatto Esty.
    Invece, non ho trovato strana la reazione del marito: anche lui è vittima di quelle istituzioni ed è felice – credo- della scelta della moglie, perché, nonostante tutto, le vuole bene e gli fa piacere sapere che, almeno lei, può essere felice e realizzata, pur non rispettando quelle regole a cui lui intende continuare a soggiacere.
    Non mi ha turbato neppure la storia della madre: direi che ci sta che la donna abbia provato a “salvarsi”, allontanandosi dalla famiglia acquisita, e che, per questo, possa comunque continuare ad amare la figlia (il che, secondo me, non fa che aumentare il senso di colpa atavico che, nonostante il “progressismo” del personaggio, le deriva dalla forma mentis della sua comunità).
    Non ho letto il libro da cui è tratta la miniserie, ma, stando al documentario dedicato al making of di Unorthodox, pare che la serie lo ricalchi nella parte dedicata alla vita della protagonista nella comunità di origine e che, poi, si discosti su tutto il resto. A proposito di letture sull’argomento, se t’interessa, in tempi recenti il tema dell’allontanamento da una comunità ortodossa, per esempio, viene trattato nel romanzo Disobbedienza di Naomi Alderman (che Sebastián Lelio ha anche adattato -secondo me, malamente- in film).

Lascia un commento