Recensione su Andrey Rublyov

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Il cinema degli elementi / 7 Aprile 2015 in Andrey Rublyov

Per chi come me è imbevuto dei canoni del cinema hollywoodiano la sfida culturale di un linguaggio cinematografico differente come quello di Tarkovskij è difficile ma straordinariamente stimolante. Un cinema per certi versi austero, disteso nelle fredde steppe desolate russe, elementare (nel senso di un potente richiamo simbolico agli elementi della natura) e disseminato di lunghi silenzi, intriso di religiosità e paganesimo, una storia mistica, medievale, profondamente russa. Un viaggio lungo tre ore di pellicola (io l’ho scansionato in tre serate per non appesantire la visione) dove si può percepire la spiccata personalità del regista, una cinepresa inquieta tra carrellate e trucchi, riprese in volo e dall’alto, singolari inquadrature sui soli busti del cavallo ad altezza uomo. Una storia, quella dell’iconografo Rublyov (inutile scriverlo con la “e” con la dieresi, è comunque una traslitterazione dal cirillico), che accarezza i temi della fede in un tempo violento, dell’ascetismo sfidato dal paganesimo rurale e della visione del bello nell’arte sacra, supremamente raffigurato nelle pitture del maestro russo e del suo vate Teofane il Greco. Particolarmente affascinante l’ultimo episodio sulla realizzazione di una campana, con tono quasi fiabesco, dove primeggiano gli elementi del fuoco e della terra.

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