Recensione su Gemma Bovery

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1 Febbraio 2015

Per Fabrice Luchini, la letteratura diviene ancora una volta materiale di contrabbando, che passa per un processo di disgregazione volta all’attualizzazione concreta della stessa. Un esperimento già tastato dall’attore francese in “Molière in bicicletta”, e che stavolta è riproposto dalla regista Anne Fontaine in “Gemma Bovery”, una commedia incasellata in tanti piccoli equivoci che la trascinano in sprazzi di mystery. Mentre nella storia di “Madame Bovary” Gustave Flaubert scelse di moltiplicare i punti di vista, complice il flusso storico e le influenze dell’analisi scientifica, nel film è solo uno sguardo a prevalere, ovvero quello del protagonista: Martin, un panettiere, un mancato letterato la cui passione si configura in un inusuale profilo feticista ai confini di un erotismo fine a se stesso e al piacere più cerebrale che sessuale.

Questa sua egemonia spinge Martin a vigilare e manipolare, esercitando il controllo sia sul suo quotidiano, che ormai sguazza nella noia più tombale, sia sulle questioni altrui più o meno tragiche e intricate, in particolar modo quelle riguardanti i suoi nuovi vicini inglesi dai nomi letteralmente (o letterariamente, per così dire) inequivocabili. Egli, bovarista per eccellenza, interviene quale demiurgo di una realtà che non gli appartiene, ma alla quale al contempo assiste: diviene a tutti gli effetti un regista-spettatore, come fu per James Stewart ne “La finestra sul cortile” (un riferimento rutilante che nella cinematografia si reitera con un senso di assoluta necessità) o meglio, per rimanere fedeli alla comicità di Martin, come fu per Woody Allen in “Misterioso omicidio a Manhattan”. Seppure questa premessa sia mediamente convincente e stimoli l’intrattenimento, nel film rimane di fatto l’unico caposaldo di tutta la struttura, il che comprende i dialoghi, sottili ma considerevolmente instabili.

Dialoghi inseriti in una sceneggiatura che risente di falle ricucite alla bell’e meglio, e di personaggi alterati sia in termini riduttivi, per cui la loro rilevanza è pari a zero, sia enfatizzati, come nel caso della stessa Gemma Bovery, che si aggira per luoghi ed eventi in tutta la sua inverosimiglianza provocatoria (e non provocante, come si vorrebbe dare ad intendere). “L’avvenire ci tormenta, il passato ci trattiene, il presente ci sfugge”, come sfuggono nello stesso modo effimero pagine e pagine della vera Madame Bovary, uno degli archetipi femminili per eccellenza, consapevolmente colpito e annientato. Rimane solo Martin: lui, i suoi libri, il profumo del pane, e tutti i piccoli piaceri che il suo personaggio sa trasmettere, turbamenti compresi. Speriamo le sue vicende si fermino lì, e che non ci vada di mezzo una certa Anna Karenina…

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