Recensione su Il terzo uomo

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Il terzo uomo
Regia:

30 Luglio 2011

Soltanto a livello recitativo ho trovato qualche piccola pecca, ma solo perché prediligo Joseph Cotten nel ruolo del cattivo (mi ha tanto convinta nell’hitchcockiano “L’ombra del dubbio” che fatico, ora, a vederlo in altri ruoli). Ottimo, invece, Welles, nella parte del terzo uomo, del “fantasma” compianto, celebrato, difeso, da un lato, diffamato e demonizzato dall’altro; la verità, come sempre accade, sta nel mezzo, e Welles ce lo dimostra con quella faccia non bella ma affascinante ed estremamente espressiva: una faccia che muta, riflettendo i cambiamenti che avvengono nell’animo di Harry, il suo personaggio. Prima sicuro, pratico, spietato, disposto persino ad uccidere il suo migliore amico pur di proteggere i miserabili affari nei quali è invischiato, poi logoro, sporco, braccato (e nell’eterna scena dell’inseguimento finale mi ha ricordato non poco il Lorre del langano “M – Il mostro di Düsseldorf”, anche se il personaggio di Welles è più fiero dell’altro, meno meschino, e quasi eroico in un sacrificio necessario ma non ancora sufficiente a cancellare il male da lui cagionato), con quelle dita nere che, fuori dalla grata del tombino, si tendono verso un’impossibile salvezza. Bello, perché indubbiamente modellato sulle eroine greche, anche il personaggio della Valli: maltrattata, fiera ed indomabile, contribuisce perfettamente all’intrigo, aiutando protagonisti e spettatori a tirar fuori e delineare i propri sentimenti, a capire dove sta la ragione e dove sta, invece, il torto.
E poi Vienna, cornice ideale per una storia di questo tipo, con i suoi androni oscuri, le sue lampade enormi, le sue giostre abbandonate. La decadenza di certe imponenti architetture si unisce alla polvere delle macerie; la fotografia fumosa, le inquadrature storte, l’ingigantirsi delle ombre (al punto che, appena ritrovato l’amico creduto morto, il personaggio di Cotten si mette ad inseguire non già lui, ma la sua enorme ombra proiettata sulle facciate dei palazzi), che accresce ancora l’ambiguità del gioco, la dimensione del rischio, ed il tema musicale ricorrente (che, con la sua vivacità, pare tramutare in scene comiche alcuni passaggi di grande pathos) fanno il resto, rendendo questo film un ottimo thriller morale.

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