Recensione su Fight Club

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9 Novembre 2013

Il più affascinante affresco di stronzate visionarie della letteratura contemporanea (parlo di Palahniuk), magistralmente trasposto sul grande schermo da un Fincher che in progetti come questi dà il meglio di sè.
Fincher è legato a questi film dalla sceneggiatura forte, che fa la parte del leone nella produzione, ma in Fight club il regista di Denver si sbizzarrisce in creatività sicuramente più che in altri film da lui diretti.
Riesce infatti indubbiamente a infondere, con alcuni accorgimenti, quel senso di vertigine, di adrenalina, che la penna di Palahniuk fa sgorgare ripetutamente nel romanzo da cui è tratto.
Il risultato è un’ottima trasposizione cinematografica di un libro originalissimo e che ha fatto discutere, così come discutere fa costantemente il suo autore.
Parlare di trama ha poco senso: il film è il Fight club di Palahniuk, visto e arrangiato da Fincher. Se si guarda il film dopo aver letto il libro, la sensazione non può che essere questa.
I due attori protagonisti si comportano entrambi benissimo.
Edward Norton nel ruolo dell’uomo medio, psicologicamente instabile e dalla doppia personalità.
Brad Pitt nella parte del suo alter ego macho e insolente, anticonformista e anticonsumista.
La metafora dell’insonnia, l’originalitá dell’idea dei gruppi di malati terminali.
Ma appunto tutto ciò è roba di Palahniuk, che con la storia dei circoli di boxe clandestina, del progetto caos, della solidarietà tra gli ultimi, ha creato una sorta di trasgressivo culto postmoderno, una settaria ideologia antisociale e underground che, come tale, è caduta anch’essa tra le tendenze, tra le mode che tanto acremente biasimava.
Un paradosso che genera un monito: guai a prender troppo sul serio queste affascinanti stronzate visionarie.

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