Recensione su Non aprite quella porta

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Buon Remake / 31 Agosto 2021 in Non aprite quella porta

Considerando gli horror dei primi anni 2000, i dispensabili rifacimenti di film del passato (anche successivi a questo) e i tentativi fallimentari di sequel e prequel della saga in questione, questo mi sembra uno dei prodotti più riusciti. Un remake che prende molto rispettosamente le distanze dall’originale, a partire dai personaggi e dal nome della famiglia, mutuandone allo stesso tempo tutti gli elementi essenziali, senza farne un copia e incolla, approfondendoli e ampliandoli sapientemente. Non troppo simile, non troppo dissimile, conserva il macabro, la tensione, l’inquietante e il lercio.

Chi lo ha realizzato sembra essere consapevole del fatto che il pubblico non abbia bisogno di rivedere qualcosa di già visto, ma neanche qualcosa di totalmente diverso e che c’entri poco e niente con l’originale. Bisogna aggiungere qualcosa senza invadenza e il film del 2003, a mio dire, lo fa: esplora quel mondo un po’ più a fondo, lo espande, cercando comunque di non stravolgerlo o profanarne la trama. Esempio lampante di questo approccio è la decisione intelligente e apprezzabile di non replicare la cena, una delle scene più iconiche del film del ’74 che viene anche volutamente menzionata come tributo, senza rischiare di ridurre il tutto a una mera imitazione macchiettistica che comunque non potrebbe eguagliare l’originale. D’altro canto, i parallelismi con la storia di partenza ci sono eccome, inutile elencarli.

Ottima la scelta dei personaggi che compongono la famiglia Hewitt, che riescono a trasmettere quell’arretratezza contadina di un posto dimenticato da Dio. Primi tra tutti, Ronald Lee Ermey e Marietta Marich si rivelano semplicemente perfetti per i loro ruoli. Henrietta e la madre mi hanno ricordato vagamente Dee Dee Blanchard e Gypsy Rose. Ovviamente una coincidenza, visto l’anticipo del film rispetto all’inquietante caso di omicidio in questione, ma che fa capire quanto la pellicola abbia centrato il punto portando sullo schermo dei personaggi adeguatissimi al contesto. Buon lavoro anche per Jessica Biel.

Le pecche, ovviamente, sono presenti. In primis, lascia l’amaro in bocca la mancata caratterizzazione psicologica di Leatherface, di cui viene anche mostrato il volto, andando in pieno contrasto con le intenzioni dei creatori. Troviamo qualche piccola insensatezza qua e là, ma mi sembra che non disturbino e che siano del tutto perdonabili.

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