Recensione su The Walking Dead

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Una serie sugli zombie che non parla di zombie, almeno nella loro più classica concezione. / 18 Aprile 2018 in The Walking Dead

La trasposizione televisiva della serie a fumetti ”The Walking Dead”, di Robert Kirkman, è paradossalmente, divenuta nel tempo, figlia del genere di creature che promuove. Una sorta di zombie che arranca tra rating e merchandising, avendo smarrito, in virtù di una maggiore fruizione del prodotto, la sua uniformità, ma soprattutto la sua missione.
Se nella prima stagione l’ottima messa in scena metteva in risalto una dura lotta per la sopravvivenza, in un ambiente post apocalittico ove i ”non morti” erravano in cerca di vivi da azzannare, nelle serie successive, tutta questa tenace lotta, tutto questo scampare alla morte, si è tradotto in una filosofica ricerca della verità. Di un senso in un mondo che ha perso il suo significato.
Se da un lato questa maggiore introspezione dei personaggi ha reso gli stessi più profondi, e reali, dall’altro ne ha rotto gli equilibri, lanciandoli in una solitaria fuga, laddove ”gli erranti” non sono che mere creature di contorno, che non incutono più alcun timore.
Quindi si può altresì dire che la più sofisticata e acuta metafora di The Walking Dead, ossia che il più grande nemico dell’uomo è l’uomo stesso, è anche la sua più grande rovina, estraniandosi in tal modo dal genere rappresentato, come esplicitamente asserì in un’intervista il celebre papà degli zombie George A. Romero, prima della sua scomparsa.
Altro difetto della serie risiede nel suo alto numero di episodi ”riempitivi”, che hanno appunto il compito di accompagnare la première nel suo percorso verso il relativo mid-season, o final-season, sfociando, a volte, nel nulla cosmico, dove regna inerzia e noia.
Una serie sugli zombie che non parla di zombie, almeno nella loro più classica concezione.

3 commenti

  1. Federico66 / 19 Aprile 2018

    Hai colpito nel segno 🙂
    Una serie tanto osannata, eppure, (a parte le prime stagioni) piena di puntate noiosissime, molto spesso incoerente e sicuramente incostante. I “non morti”, come elemento decorativo e riempitivo di una storia che si ripete all’infinito, la supremazia dell’uomo sull’uomo. I “non morti”, che in alcune situazioni vengono schiacciati come scarafaggi con un coltellino svizzero, e in altri sono così pericolosi da riuscire a sopraffare i vivi anche se armati fino ai denti.
    Per non parlare del cattivo di turno, l’ultimo addirittura non si riesce ad ucciderlo neanche dopo avergli puntato un fucile in faccia; sembra che abbia il potere (super) di controllare la mente altrui, il che può essere vero per gli adepti che hanno subito il lavaggio del cervello, ma non con ti tenta di ucciderti da tre stagioni 🙂

    • inchiostro nero / 19 Aprile 2018

      @federico66: concordo, gli sceneggiatori si ricordano della pericolosità degli erranti solo quando decidono di eliminare taluni personaggi. Sempre se a farlo non siano gli stessi esseri umani. In quel caso, gli zombie, ritornano a far parte della scenografia. Capisco che vi è una certa linea da seguire, in quanto adattamento del fumetto, ma già da un po’ hanno deciso di battere altre strade.
      Per quanto riguarda i villains, credo che per intensità e durata, il migliore sia stato il Governatore. Con Negan hanno accentuato i toni, sfociando nel caricaturale ( pur con un Jeffrey Dean Morgan strepitoso ).

  2. Federico66 / 19 Aprile 2018

    @inchiostro-nero: concordo sul Governatore, ma quelli erano altri tempi. Con il personaggio Negan effettivamente hanno voluto strafare, inoltre il brodo comincia ad essere troppo allungato 🙂

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