Recensione su DAHMER

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Serie tv mefitica / 12 Ottobre 2022 in DAHMER

La premiata ditta Ryan Murphy – Ian Brennan (Hollywood, Halston, The Politician, Ratched, Glee, Scream Queen) ha sfornato la miniserie Netflix Dahmer, incentrata su uno dei serial killer più famosi della storia statunitense, Jeffrey Dahmer, diventato noto alle cronache come il mostro di Milwaukee.

Ho deciso di guardarla, perché avevo un chiaro ricordo mediatico di quando, nel 1991, Dahmer venne arrestato. Dal tg o grazie ai giornali, oltre ad alcuni macabri dettagli, avevo appreso una cosa che mi aveva colpito: alcune persone che l’avevano conosciuto dicevano che Dahmer sembrava “una persona gentile”.
Insomma, le impensabili efferatezze di cui si era macchiato stridevano molto con la sua immagine, gentile -appunto- e pacata.
La miniserie Netflix si avvale della più che convincente interpretazione di Evan Peters, per esaltare proprio questa ambiguità inquietante di Dahmer.

Il prodotto finale è molto buono, ben diretto, ben fotografato, con una valida ricostruzione d’ambiente, che non indulge troppo o ripetutamente su alcuni dettagli più disturbanti (se possibile…) di altri.
Ignoro, però, quanto la sceneggiatura sia aderente ai fatti realmente accaduti.

Per tutto il tempo (e anche tra una sessione di visione e l’altra), mi sono sentita intrappolata nella claustrofobica vita (di finzione) di Dahmer. Il suo cervello (o, meglio, le aberrazioni della sua psiche) era una specie di gas che, idealmente, riempiva ogni interstizio. Tutto avviene in spazi limitati e circoscritti (casa dei genitori, locale gay, appartamento di Dahmer, casa della nonna) che, via via, si riducono di scala, fino a portare sempre nella mente del killer.
Diciamo che, con accezione positiva, questa è una serie tv asfissiante e mefitica.

Però, penso che i 10 episodi (della durata di circa un’ora ciascuno) che compongono la serie siano troppi. Eventi e psicologie sembrano ben sviscerati (pardon…) e, quindi, tanto di cappello, ma c’è qualche lungaggine in esubero.

Punto di merito a creatori, sceneggiatori e produttori: hanno provato a trasmettere il senso di angoscia dei sopravvissuti, dei testimoni diretti, dei famigliari del killer e delle vittime, cosa non sempre presente in prodotti di questo tipo.

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