Recensione su La bicicletta verde

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24 Luglio 2013

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Vado in questo posto palpitante di persone, eco, friendly e intellettuali, dove nel cortile viene proiettato il film sul muro. Ci sono i lampi e sono scosso di mio e ho paura che piova e di non poter vedere la fine, puffoquattrocchiescamente io odio lasciare i film a metà. Lì mi sento solo, ma non era male, quindi alla fine meno solo.
La protagonista, Wadjda, è una ragazzina che cresce in Arabia Saudita. O giù per di là, RiaD? Massì, facciamo Riad, periferia, strade polverose e donne col burqua. Perché è un film di donne e per donne, che tramite la storia di Wadjda, vuole illustrare quanto sia claustrofobicamente chiusa la vita delle donne arabe. Concretamente, con i veli ovunque, le scuole divise dai maschi, il terrore continuo di poter essere viste e considerate poco di buono. E allora muri muri muri. E psicologicamente, con mille e mille cose che “non si possono fare”, solo perché si è donna e non si fa. Eh no, sei donna, non si fa. La bicicletta è il simbolo, semplice ma efficace, di tutto ciò, e Wablabla che lotta per ottenerla, con le armi spuntate che può avere una ragazzina contro il sistema, la speranza per un futuro più… più. Opera decisamente a tema e da cineforum, da marxiste femministe e retaggi del genere, da lavarsi la coscienza. Però delicato e pacato e ben girato, la protagonista nelle sue converse è un piccolo mostro di simpatia e astuzie varie; intorno a lei, si descrive un mondo dove le vite di tutti, nessuno escluso, sono castrate dalla pressione social-religiosa. La mamma e l’insegnante stronza, che fa tanto la precious ma si capisce che la da, tra l’altro sono troppo gnocche e milf.
Sotto i blocchi psicologici, le religiose convinzioni e convenzioni, pulsano emozioni represse che prima o poi, se il mondo avesse senso, esploderanno. Ma non ha senso, noi abbiamo ancora il Papa. Per dire.
Il film è il primo girato da una donna in Arabia Saudita. A una donna in Arabia Saudita non da talmente nessuno dei fondi che lo ha girato con una troupe tedesca, e dirigendo gli attori da dentro un furgone per le scene all’aperto, perché non poteva farsi vedere insieme ai componenti maschili della troupe.
C’è un obbligatorio happy ending di circostanza, perché nel futuro più che sperare non si può. Però mi chiedo, dopo che tutti erano tanto terrorizzati dal fatto che lei potesse avere questa verdicletta, se poi non è che fuori campo ce l’ammazzano, ora che ce l’ha e che gira nelle strade felice. E poniamo invece il caso che nessuno le dicesse niente, beh, di che ca**o siamo stati a parlare finora?

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