Recensione su Timbuktu

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6 Febbraio 2015

Timbuktu, un luogo astratto, metafora delle contraddizioni della vita e della violenza: è la dimensione nella quale il regista Abderrahmane Sissako affaccia la sua ultima opera, candidata al premio Oscar come miglior film straniero: la lenta e paradossale presa di potere di un gruppo di jihadisti che si fanno largo insieme alla sharia, mettendo in ginocchio un’intera popolazione. È con questa storia che il regista di “Timbuktu”, con costanti consensi dalle parti del Festival di Cannes, affronta un tema da tempo inseguito, sbocciato da sé, laddove tutto, compresi i media, lavorano per sottacere una tragedia circoscritta ma ben radicata. Una croce terroristica sfoggiata con la particolare intensità della tacita resilienza, in questo docu-racconto: tutta la comunicazione consiste in una palpabile lotta, un silente e dignitoso confronto con la piaga della tortura psicofisica; nessun tipo di grido viene lasciato trapelare, se non quello degli sguardi lucidi e fermi dei protagonisti.

Sissako non intende porre denunce di alcun tipo: non vuole scandalizzare il mondo occidentale, bensì porlo con consapevole e meditata mano ferma di fronte alle antinomie degli eccessi della repressione, sottomettendosi di poco al nervosismo conferito per forza di elementi dal racconto. “Ogni essere umano è complesso, e chi usa la violenza sugli altri ha anche lui dei dubbi”, come afferma il regista; e di fatto la scena, impressa dai mirabili attori (la maggior parte non professionisti e ingaggiati durante le riprese), infligge una molteplicità di emozioni e intenzioni che pochi film così, difficili da mandar giù, raggiungono senza propagandare compassione a suon di strilli e pianti sciorinati gratuitamente. Particolarmente significativa la scena della partita di calcio senza pallone: l’immaginazione contrasta ogni tipo di divieto, unica valida arma per chi ormai, di punti di riferimento, non ne ha più. E il finale aperto, seppur macchiato a morte, riconduce alla speranza di un nuovo punto di partenza.

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