Recensione su Posh

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5 Maggio 2018

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

A primo acchito si può pensare ad una riproposizione britannica de “The skulls” (il film sulla fantomatica società segreta delle università USA), e in effetti qualche similitudine se vogliamo c’è; ma qui non si parla di complotti, di rituali pseudomassonici, e roba simile, per quanto il concept di fondo possa far accostare i Teschi com il Riot club, ma solo perchè condividono lo standard per organizzazioni simili (segretezza ai non-membri, accesso per cooptazione, sodalizio eterno tra i mebri. Il Riot club è solo una goliardica compagnia, non è la Spectre.

I film che strizzano l’occhio all’invidia sociale non mi sono molto graditi, hanno vita troppo facile e alimentano sentimenti negativi facendo troppo spesso generalizzazioni ruffiane verso il pubblico (oltre che puzzarmi molto di ipocrisia).
Premesso ciò, questo “Posh – The Riot club” come ritratto verosimile di una ristrettissima ma potentissima (e impunita, soprattutto, come mostra in modo palesissimo il finale che più realistico di così non si può) fetta della società può anche starci, quelle che qui possono apparire esagerazioni bisogna prenderle come necessarie per rappresentare un “tipo”, una summa di ogni possibile casistica concentrata in unico gruppo preso ad esempio; ho notato, tra l’altro, anche un certo riferimento, se vogliamo, ad Arancia meccanica dove l’innesco, lì come qui, è la noia (si distrugge, si tiranneggia, si sevizia, per passatempo, e poco conta se qui si parla di rampolli blasonati e lì di borgatari). Tra l’altro la pellicola offre un grande spunto di riflessione e smentisce il falso mito (mito per gli esterofili nostrani) della meritocrazia anglosassone, ché invece quella lì è una realtà parecchio classista dove il “sangue”, l’essere “well-born”, conta oggi come nel XII secolo. Conta negli ambienti che contano, si intende. E infatti il posto nella segreteria dell’Onorevole con carriera assicurata se lo becca chi ha pestato a morte un innocente oste. Perchè soldi e titoli, anche se non spesi materialmente, possono comprare tutto.
In tutto questo il film centra l’obiettivo.
Quel che però non mi convince è la dinamica che coinvolgono i due personaggi principali, Alistair e Miles. Non tanto Miles, che rappresenta il “complesso di colpa”, il “radical chic” che propende a parole per il popolame salvo, poi, dimostrare di essere pur sempre al di qua della barricata, anche se ha molti più scrupoli morali dei suoi colleghi (anzi è l’unico a rendersi conto davvero, seppur tardivamente, della realtà e a disgustarsene), quanto piuttosto Alistair. Alistair lo vediamo passare repentinamente e quasi immotivatamente[1] dall’essere un tipo timido, remissivo, impacciato, che vuole discostarsi dalla figura ingombrante (a quanto pare dai dialoghi) del fratello maggiore e della famiglia, all’ergersi ad estremista agit-prop dell’upper class e dei privilegi in aperto e per nulla ipocrita (bisogna riconoscerlo) spregio verso la massa maleodorante di sudore, forte del denaro, dei titoli e dell’albero genealogico, e per questo del tutto impenitente di quanto compiuto.
Un po’ più di attenzione all’evoluzione dei personaggi, ecco, avrebbe magari permesso al film di fare quel salto di qualità in più.

[1] e dico “quasi” proprio perchè l’unica spiegazione che sono riuscito a darmi è riconducibile alla rapina subita da Alistair in strada, molla che evidentemente (oltre che farlo sbroccare) gli fa scattare in modo aperto il ribrezzo verso i “poveri” e fa cadere le ipocrisie delle buone maniere scatenando l’istinto di rivalsa sociale, di voler ristabilire gli equilibri tra “superiori” e “sottomessi”, perdendo però tutte le sue certezze sull’etica e sulla dignità umana quando l’oste gli dà quello schiaffo morale – schiaffo a cui Alistair reagisce con la violenza fisica, perchè non può accettare che qualcuno osi ribellarsi agli equilibri (per lui vale l’equazione: sei povero = ho il diritto di farti fare quello che voglio quando ti offro dei soldi, e siccome sei povero i soldi non li puoi rifiutare mai); e una prima avvisaglia la possiamo trovare nel dibattito sul welfare state che Alistair ha con Miles in presenza di un insegnante, segno che queste idee già le aveva dopotutto.

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