Recensione su The Imitation Game

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19 Febbraio 2015

Potrei essere partita positivamente prevenuta e non ne faccio segreto: tutto di The Imitation Game mi attirava. Cast, musiche e storia erano già sulla carta di mio gradimento e sebbene le critiche si siano sprecate nel corso dei mesi mi sono mantenuta fiduciosa e sono stata ripagata. The Imitation Game è un biopic “normale”, nel senso che fa il suo onesto lavoro: racconta -con quella che mi pare una giusta dose di grazia e rispetto- le vicende, per forza di cose non troppo approfondite, di uno studioso brillante e perseguitato, di cui sapevo qualcosa grazie all’esame di Psicologia dell’intelligenza. Il suo contributo non potrà mai essere troppo celebrato e reso noto, per cui di fronte ad un film che non mi fa certo gridare al capolavoro, mi ritengo comunque soddisfatta perchè ci vedo uno scopo più grande e nobile in questo caso. Cionondimeno la confezione si presenta bene: la regia è sempliciotta, niente guizzi, ma sento che è più importate la storia, scritta discretamente e recitata divinamente in primis da Benedict Cumberbatch, un Turing commovente nelle più piccole minuzie espressive. I comprimari sono bravi ma hanno poco spazio, poichè la sceneggiatura difetta nel non dare maggiore tridimensionalità a Keira Knightley e co. (difatti lei, la mia prediletta, ammetto che avrebbe meritato nomination agli Oscar per ben altri lavori) e nel saltare di tanto in tanto troppo velocemente da uno sviluppo all’altro. A questo sommerei infine una CGI bruttina, ma per fortuna non troppo preponderante. Il film in definitiva ha per me quel carattere warm che non strasborda nella ruffianeria e mi ha fatta empatizzare moltissimo con Alan Turing, mi ha commossa e lasciata con un triste sorriso, coadiuvato dalla bella e classica OST del solito Desplat.

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