Recensione su Il Grande Gatsby

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Siamo sicuri che a F. Scott Fitzgerald non sarebbe piaciuto? (e chi può dirlo)… / 8 Ottobre 2016 in Il Grande Gatsby

Il grande Gatsby di Luhrmann è infarcito di anacronismi e dell’esuberante euforia stilistica tipica del regista australiano.
L’età del jazz si trasforma così nel trionfo della dance music e dell’hip hop (tributo ad uno dei produttori, il rapper Jay Z) e i celebri Gatsby parties sembrano richiamare la movida agostana di Ibiza, con buona pace per lo stile dei roaring twenties.
Scelte discutibili, ma chiaramente volute e che innegabilmente rendono il film originale e movimentato.
Con buona pace di Francis Scott Fitzgerald (a cui magari uno scompiglio del genere sarebbe anche piaciuto), il regista ci mette davvero molto del suo, soprattutto nella prima parte, incluse corse in auto esagerate, sempre alla ricerca dell’iperbole e della spettacolarizzazione.
Il film diventa così videoclip secondo una tendenza ormai inevitabile nel cinema contemporaneo, almeno quello che è mosso da mere logiche di profitto o di ricerca estetica che non ha timore di sfociare nel kitsch.
La seconda metà della pellicola si normalizza leggermente e viaggia verso un finale drammatico, gestito discretamente.
Un Di Caprio superiore alla media delle sue interpretazioni (finalmente un ruolo adatto a lui), accompagnato però da comprimari soltanto modesti.
Curiosa la quasi contemporaneità di uscita con un film di struttura abbastanza simile ma di risultato artistico diametralmente opposto: La grande bellezza di Sorrentino.

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