Recensione su Pieces of a Woman

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M / 7 Gennaio 2021 in Pieces of a Woman

Da ieri su Netflix, Pieces of a Woman è il primo film anglofono dell’ungherese Kornél Mundruczó, presentato pochi mesi fa all’ultimo festival di Venezia.
Rispetto all’unico suo film che avevo visto, White God (su Raiplay) i passi avanti sono giganteschi: quel film sapeva tenere alta la tensione abbastanza bene, ma era troppo cretino (nella premessa) e troppo prevedibile (nell’intreccio) per essere preso seriamente.
Questo invece è un film che sfiora il capolavoro.
Una giovane coppia sta per avere una figlia, ma il parto in casa non va come dovrebbe e la bambina muore pochi minuti dopo la nascita. Il film ruota attorno alle conseguenze di questo lutto devastante, per la madre (Vanessa Kirby, ECCEZIONALE!), la donna sminuzzata del titolo, e per il resto della famiglia. Lo sviluppo emotivo, certo, come prevedibile, ma anche quello legale (la balia che doveva far nascere la bambina viene accusata di omicidio colposo).
Se riuscite ad andare oltre al raggelante piano sequenza iniziale, 20 minuti abbondanti di doglie e parto (mai una cosa tanto naturale e ovvia come il parto era stata raccontata così, e se qualcosa di questo film rimarrà nel tempo è di sicuro questo piano sequenza), se riuscite a sopravvivere, dicevo, anche il resto del film, pur smorzando leggermente i toni, rimane una riuscitissima afflitta analisi dell’anaffettività post-lutto e di un mondo che si sbriciola.
Peccato, peccatissimo, che l’ultimo quarto d’ora tenda ad andare in territori un po’ troppo retorici: c’è quel briciolo di speranza che forse serve per respirare nel finale di un film così, ma c’è anche l’impressione che se Mundruczó avesse avuto il coraggio di essere arcigno fino in fondo ne sarebbe risultato un film immensamente grande. E invece è “solo” ottimo.

5 commenti

  1. Stefania / 11 Gennaio 2021

    Non hai avuto anche tu l’impressione che il personaggio di LaBeouf sia stato disegnato, in maniera esagerata, come un concentrato di vizi ed errori umani?

  2. Catoblepa / 11 Gennaio 2021

    @Stefania: in realtà al momento del parto sembra quasi un padre modello, estremamente gentile sia con la moglie che con la balia, pronto ad aiutare e farsi servo nella situazione in cui sa di essere un oggetto alieno (l’uomo che dell’esperienza del parto non sa nulla).
    Dopo, quando cioè la situazione è già precipitata, sì, diventa una maschera odiosa, anche se mi sembra sempre molto umano nei suoi difetti.
    Detto questo, la scelta di LaBeouf per quel ruolo potrebbe persino non essere casuale, visti i suoi trascorsi biografici: incarna l’uomo odioso anche fuori dallo schermo.

    • Stefania / 11 Gennaio 2021

      I difetti di Sean/LaBeouf sono tutti umani e “condivisibili”, ma non è quello che intendevo, non sono stata chiara: non sembra che “ce li ha tutti lui”, questi difetti? Cioè, tu pensa a qualcosa di fastidioso o inopportuno e lui la fa, sbagliando, puntualmente, tutto.

  3. Catoblepa / 11 Gennaio 2021

    P.S. Non che lei sia poi questa donna modello: è altrettanto spesso odiosa, a parte nel finale (che però, come dicevo, è la parte che secondo me fa crollare almeno in parte il ponte, per usare la stessa simbologia del film).
    D’altronde se è un film sull’elaborazione di un dolore gigantesco, che le persone si chiudano in un guscio che le rende odiose mi sembra abbastanza credibile.

    • Stefania / 11 Gennaio 2021

      Il finale è così stucchevole…
      Sul fronte dell'”odioso”, ti ho risposto nell’altro commento 🙂

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