Pieces of a Woman

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Pieces of a Woman

Dopo aver perso il proprio bambino, una donna inizia un difficile viaggio emotivo.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Pieces of a Woman
Attori principali: Vanessa Kirby, Shia LaBeouf, Ellen Burstyn, Sarah Snook, Iliza Shlesinger, Benny Safdie, Molly Parker, Steven McCarthy, Tyrone Benskin, Frank Schorpion, Harry Strandjofski, Domenic Di Rosa, Jimmie Fails, Juliette Casagrande, Gayle Garfinkle, Vanessa Smythe, Nick Walker, Sean Tucker, Alain Dahan, Joelle Jérémie, Leisa Reid, Mostra tutti

Regia: Kornél Mundruczó
Sceneggiatura/Autore: Kata Wéber
Colonna sonora: Howard Shore
Fotografia: Benjamin Loeb
Costumi: Véronique Marchessault
Produttore: Kevin Turen, Viktória Petrányi, Sam Levinson, Ashley Levinson, Jason Cloth, Aaron L. Gilbert, Stuart Manashil, Steven Thibault, Suraj Maraboyina, Richard McConnell, Martin Scorsese, Aaron Ryder
Produzione: Usa
Genere: Drammatico
Durata: 127 minuti

Dove vedere in streaming Pieces of a Woman

5 Marzo 2021 in Pieces of a Woman

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Raccontare il dolore attraverso un film non è certo facile. Questo film ci prova ed è un tentativo lodevole ma non l’ho trovato molto riuscito.
Vanessa Kirby nel volo di Martha è molto brava a mostrare l’annichilimento, l’incapacità di reagire, di capire, di esprimersi di fronte alla morte di una figlia appena nata. E molto bello e intenso è il piano sequenza iniziale del parto, 20 minuti che ben trasmettono la sensazione di nausea, sofferenza, ansia e insieme attesa della partoriente e del padre.
Un po’ più convenzionale e stereotipo è tutto quello che segue. Dagli sguardi tutti puntati su di lei al ritorno in ufficio, al fatto che lei non veda intorno a sé altro che bambini, alla madre decisionista che odia il suo fidanzato e che poi alla fine ci aveva anche visto lungo, e che vorrebbe scuoterla e farla uscire dal suo torpore, ma a questo scopo non trova di meglio che imbastire un processo contro l’ostetrica. Onde puoi rivelare di essere giustificata nel suo livore dal fatto di avere un passato di bambina ebrea sopravvissuta per un pelo (no vi prego, ma che c’entra!!! E poi come può aver fatto la seconda guerra mondiale la madre di una trentenne?) che i medici vedevano già morta.
Insopportabili e legnosissimi, poi, sono i pochissimi dialoghi tra Martha e il fidanzato.

Non mi hanno convinto anche alcune scelte di cast non da poco. L’azzeccatissima Kirby, molto bella e dalla faccia per niente hollywoodiana, è circondata da attori secondo me poco convincenti nel ruolo.
Shia LaBeouf è a mio avviso un attore di un’inespressività rara. spero che i recenti scandali che lo hanno coinvolto lo portino per un po’ lontano dagli schermi. Il suo ruolo in questo film, peggio del peggior cattivo dei cartoni animati, evidentemente non si discosta molto da quello che è come persona nella vita.
La splendida Ellen Burstyn, classe 1935, potrebbe essere la nonna di Vanessa Kirby ed è quindi del tutto fuori luogo in quanto madre di una trentenne.
Scelta scenica assurda poi è quella dello sviluppo delle foto della neonata.
Ad alcuni mesi di distanza dalla tragedia, nei giorni del processo contro l’ostetrica, Martha va da un fotografo a far stampare il rullino delle foto che sono state scottate al momento della nascita (davvero? Qualcuno scatta ancora istantanee con una macchinetta fotografica analogica?). dopo lo sviluppo la foto grande formato di Martha con in braccio la bambina viene stampata in una bacinella con gli acidi, peraltro in presenza della stessa Martha. Osservare l’immagine che appare a poco a poco è di sicuro effetto, ma credo che almeno dal 1950 nessuno, in uno studio fotografico qualunque, sviluppi le foto in camera oscura e le stampi usando le bacinelle con gli acidi.
E vogliamo parlare del processo voluto dalla madre di Martha che termina con un accorato appello di Martha stessa, finalmente risvegliatasi dal suo torpore? Davvero un teste può prendere parola quando vuole e porre fine a un processo in questo modo?

Insomma l’idea è buona, ottima l’attrice protagonista, ma lo svolgimento sfida di continuo la verosimiglianza.

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Pieces Of A Woman / 19 Gennaio 2021 in Pieces of a Woman

Pieces Of A Woman inizia con un lungo piano sequenza molto ben riuscito, ansiogeno e devastante, frutto anche delle ottime prove attoriali della Kirby e di LaBeouf.
Quello che segue non mantiene la stessa potenza dei primi ventiquattro minuti, tranne in pochi attimi, e alcuni snodi fondamentali della trama vengono risolti con troppa superficialità.

Didascalico / 11 Gennaio 2021 in Pieces of a Woman

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Riflessioni sparse)

Tolta l’interpretazione di Vanessa Kirby (Coppa Volpi a Venezia) e certi apprezzabili virtuosismi tecnici (dal teso e drammatico piano sequenza iniziale all’uso della camera da presa in qualità di silenzioso personaggio “n” in scena, che osserva tutto in silenzio), Pieces of a Woman mi è parso un racconto particolarmente didascalico, in tutto, compreso il doppio finale accomodante.

Non conosco (artisticamente) il regista Kornél Mundruczó, perciò non so come, di solito, affronti la manipolazione e la messinscena della materia narrativa.
Sicuramente, qui, la rappresentazione del dramma, la descrizione dei personaggi e l’uso delle allegorie per esplicare particolari stati d’animo e situazioni mi sono parsi abbastanza convenzionali ed elementari.

In particolare, mi riferisco al personaggio di Sean (Shia LaBeouf), che viene definito solo in funzione dei suoi difetti (praticamente, tutti quelli umanamente possibili: Sean è un compendio di banalità e svariate immoralità, quello di Mundruczó sembra puro accanimento). Non si comprende se Sean sia addolorato per la morte della figlia solo perché gli compete o se prova realmente una mancanza, una perdita, vagamente assimilabile a quella di Martha (Vanessa Kirby).
Se Sean può sbagliare qualcosa, tranquilli, Mundruczó gliela fa sbagliare. Nell’ottica di Mundruczó, Sean inanella una serie di amenità con diligente prontezza, quasi funzionasse solo in antitesi rispetto a Martha, che è un groviglio di muto dolore: (in ordine sparso) riprende a bere e drogarsi; pretende che la compagna faccia sesso con lui benché non ne abbia desiderio e, non soddisfatto, si trova un’amante (in seno alla famiglia di lei, giusto per non farsi mancare niente); accetta, per denaro, di lasciare Martha; imbroglia; mente; si rivolge alla compagna con frasi fatte come: “Perché vuoi cancellarla? (riferito alla bambina); grida al vento e ai muri di casa cose del tipo: “Mi manca!” o “Perché non hai voluto vivere?”.
In questo senso, non ho compreso perché “a pezzi” sia solo Martha (ovviamente, il titolo è ricco di valori semantici: in primis, fa riferimento al fatto che un pezzo della protagonista, la bambina, è andato perduto).
A sua volta, quindi, Sean è a pezzi o no? E perché non potrebbe esserlo? Nel corso del film, ci sono un paio di indizi che sembrano dimostrare l’esistenza di una lacerazione intervenuta in Sean, ma il film è Marthacentrico, perciò…
Da bravo deus ex machina, Mundruczó ha deciso per il protagonista maschile, senza farci capire bene per quale motivo Sean debba essere il villain, a questo giro, e perché fosse necessario trovarne uno.
P.s.: so che il film attinge a un’esperienza personale del regista, ma non ne conosco i dettagli, non so se abbia riversato su Sean eventuali sensi di colpa. Ma ciò, per me, non giustificherebbe comunque l’evidente condanna aprioristica del personaggio.

Sorvolo sulle piante morte in casa e sui semi di mela, allegorie naturalistiche che, per me, avrebbe potuto avere una ragion d’essere se non fossero state così insistite.

Sarò anche la solita cuordipietra, ma ho trovato superfluo il rapporto di odio-amore di Martha con la madre (Ellen Burstyn) e, perciò, francamente fine a se stesso il discorso del “tira su la testa” con riferimenti ai rastrellamenti nazisti.

In sostanza, in questo lavoro di Mundruczó, ho trovato poca complessità (narrativa ed emotiva) e una certa forma di insistita edulcorazione e deificazione (della protagonista: possibile che sia l’unica persona sveglia ed empatica del circondario?).

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M / 7 Gennaio 2021 in Pieces of a Woman

Da ieri su Netflix, Pieces of a Woman è il primo film anglofono dell’ungherese Kornél Mundruczó, presentato pochi mesi fa all’ultimo festival di Venezia.
Rispetto all’unico suo film che avevo visto, White God (su Raiplay) i passi avanti sono giganteschi: quel film sapeva tenere alta la tensione abbastanza bene, ma era troppo cretino (nella premessa) e troppo prevedibile (nell’intreccio) per essere preso seriamente.
Questo invece è un film che sfiora il capolavoro.
Una giovane coppia sta per avere una figlia, ma il parto in casa non va come dovrebbe e la bambina muore pochi minuti dopo la nascita. Il film ruota attorno alle conseguenze di questo lutto devastante, per la madre (Vanessa Kirby, ECCEZIONALE!), la donna sminuzzata del titolo, e per il resto della famiglia. Lo sviluppo emotivo, certo, come prevedibile, ma anche quello legale (la balia che doveva far nascere la bambina viene accusata di omicidio colposo).
Se riuscite ad andare oltre al raggelante piano sequenza iniziale, 20 minuti abbondanti di doglie e parto (mai una cosa tanto naturale e ovvia come il parto era stata raccontata così, e se qualcosa di questo film rimarrà nel tempo è di sicuro questo piano sequenza), se riuscite a sopravvivere, dicevo, anche il resto del film, pur smorzando leggermente i toni, rimane una riuscitissima afflitta analisi dell’anaffettività post-lutto e di un mondo che si sbriciola.
Peccato, peccatissimo, che l’ultimo quarto d’ora tenda ad andare in territori un po’ troppo retorici: c’è quel briciolo di speranza che forse serve per respirare nel finale di un film così, ma c’è anche l’impressione che se Mundruczó avesse avuto il coraggio di essere arcigno fino in fondo ne sarebbe risultato un film immensamente grande. E invece è “solo” ottimo.

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