Recensione su Lo sciacallo

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Lo sciacallo
Regia:

30 Dicembre 2014

Nightcrawler- Lo sciacallo è un film del 2014 scritto e diretto da Dan Gilroy, al debutto come regista e interpretato da Jake Gyllenhaal nei panni di Lou Bloom, un sociopatico disoccupato dal passato indefinito.
In cerca di un lavoro, assiste ad un incidente ed è lì che trova l’ispirazione. Con una telecamera si reca sui luoghi delle emergenze per filmare la realtà nuda e cruda per poi vendere il video ad un emittente televisiva. Come uno sciacallo avido ed insaziabile, Lou caccia di notte in una Los Angeles simile nell’ambientazione alla città del “driver” in Drive di Refn, deserta e lontana dai soliti stereotipi: il suo habitat naturale. Le sue prede sono: incidenti stradali, accoltellamenti, rapine, uccisioni, incendi e tutto ciò che di cruento e reale possa accadere. Prima della polizia, prima di qualsiasi altro sciacallo, Lou inizia abilmente a marcare il suo territorio.
Non mi sbilancerò acclamando all’oscar la prova di Gyllenhaal, ma la sua interpretazione è magistrale. Tralasciando che ha perso 10 kg (cosa che a quanto pare basta per ricevere la statuetta o almeno una nomination) per enfatizzare i tratti scavati del volto, Jake aggiunge anche una particolare peculiarità: per tutto il film difficilmente sbatte le palpebre, aumentando ed evidenziando una chiara mancanza di empatia, umanità ed etica morale da parte di Lou. (in Prisoners una caratteristica del suo personaggio era quel tic all’occhio che n’aumentava i tratti nervosi). Ed è quello sguardo fisso, intenso, motivato e sicuro a caratterizzare il suo disturbo. Ciò che spaventa è la totale assenza d’eccitazione. La sua pacatezza spiazza chi lo circonda, ma soprattutto lo spettatore che non riesce a comprendere come Lou possa fare con tanta noncuranza e senza alcun rimorso certe azioni. L’euforia subentra, quando rivede le sue opere in onda, quando abilmente, con un tocco registico modifica la scena di una sparatoria per aumentarne il dramma, quando alla ricerca dell’inquadratura perfetta sposta un cadavere sulla scena di un incidente. Inoltre la totale assenza di timore e paura del rischio condita alla sfrontatezza lo rendono il miglior sciacallo di tutta Los Angeles.
Molti hanno paragonato Lou Bloom all’ipnotico e quieto assassino Anton Chigurh di Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen o addirittura a Travis Bickle, isolato, depresso e alienato tassista diretto in modo impeccabile in Taxi Driver da Martin Scorsese; tuttavia, in particolare nel primo caso è difficile accostare questi due personaggi. I parallelismi ci sono soprattutto nello sguardo, ma il contesto che li circonda e la natura delle loro azioni sono troppo distanti. Discorso differente per Travis; le similitudini tra i due personaggi sono evidenti dal rapporto morboso verso una donna, dalla solitudine, dalla piccola abitazione ma anche in questo caso sono assai differenti. In parte conosciamo il passato di Travis, mentre non conosciamo nulla di Lou. Seppur due ottime interpretazioni quella di De Niro, perdendo completamente la testa nel finale, è quasi irraggiungibile.
Le battute di caccia si svolgono principalmente di notte, ma non mancano le scene diurne in cui vediamo Lou preso a rivedere i suoi servizi mandati in onda, studiare sul web diligentemente nuove tecniche e modi per migliorare in ciò che ama e sa fare meglio, annaffiare una piccola piantina, unico essere vivente a ricevere un briciolo d’umanità dal nostro protagonista, ma mai lo vediamo riposare, mai dormire; la sua ambizione, la sete di potere, la mania del controllo sono così forti da eliminare ogni traccia di stanchezza dal suo essere? Non lo sappiamo precisamente. Con questo ed altri abili buchi di sceneggiatura Gilroy ci spinge a capire dove Lou voglia andare a parare in ogni suo azione: un semplice tentativo di corteggiamento si trasforma in momento assai destabilizzante. Ma sono il suo parlare forbito, il suo fascino, le sue parole calibrate al punto giusto e la sicurezza dei suoi occhi a convincere chi lo circonda ma sopratutto la bella e matura Nina (Rene Russo), direttrice dell’emittente televisiva, a seguirlo in ogni ambito. Essa però non risulta essere vittima del suo gioco di potere, anzi è più simile a lui di quanto sembri. Non conta per lei la verità di una notizia ma quanta audience essa fa. Quindi non si preoccupa delle origini poco chiare del materiale che Lou sera dopo sera gli vende; il suo posto di lavoro e gli ascolti sono l’unico vero interesse. Forte è la critica alla cultura mediatica senza scrupoli. Sfruttare tragedie, drammi familiari, omicidi e quanto altro a proprio piacimento, deviando dalla verità, sono la prova tangibile e reale di quello che tutt’oggi accade in molte trasmissioni televisive guidate da pseudo giornalisti. Una critica simile era presente anche nell’Amore bugiardo di David Fincher, dove i mass media avevano un ruolo predominante sulle menti degli ascoltatori e sulla polizia stessa, arrivando ad influenzarla; tutto ciò attraverso una caratterizzazione di elementi perfettamente enucleati ma quasi caricaturali. In Nightcrawler tutto è enfatizzato ma molto più vicino alla realtà, “alimentando la paura vestendo di verità false evidenze”. In entrambi i casi però è il pubblico a governare. Il pubblico vuole storie ben costruite, sangue, violenza; brama come gli spettatori di un massacro tra gladiatori. Nell’antica Roma dovevi almeno scendere di casa e recarti in un altro luogo per vedere scene d’elevata violenza; con le tecnologie moderne assistere ad uno spettacolo simile è possibile in pantofole, comodamente seduto sul divano di casa.
Uno dei film più belli dell’anno assolutamente da non perdere.
(Non resisto: Gyllenhaal da Oscar!)

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