Alto artigianato / 19 Settembre 2021 in Mission: Impossible III
«Ce l’ha fatta! Ce l’ha fatta!… Tanto si sapeva», commenta a un certo punto uno dei personaggi di Mission: Impossible III, dopo aver assistito all’ennesima prodezza improbabile di Ethan Hunt. Il commento, che buca quasi la quarta parete, può essere considerato come un’osservazione ironica degli autori sull’inscalfibilità del protagonista, che lo spettatore dà naturalmente per scontata. Eppure questo terzo episodio della serie, a differenza dei primi due, è colmo di una suspense che attanaglia dal principio alla fine. Il mezzo usato è banale ma efficacissimo: non è il protagonista a trovarsi veramente in pericolo, ma una persona a lui cara; e la trama rende subito chiaro che è del tutto possibile che le persone care a Ethan Hunt ci rimettano le penne. Ma non basta: la situazione critica viene mostrata con un flashforward all’inizio del film, segnando tutto il prosieguo con un senso di tragedia incombente; quando il cattivo di turno – interpretato dal mai abbastanza rimpianto Philip Seymour Hoffman – proferisce le sue orribili minacce, lo spettatore sa già che non si tratta di vacue smargiassate.
Un meccanismo quasi perfetto, dunque. Qualche sorpresa è largamente anticipabile, qualcuna molto meno; qualche soluzione narrativa funziona (l’ellissi su cosa succede all’interno del grattacielo di Shanghai), qualcun’altra è scontata (ci sono ancora cattivi che voltano le spalle alla loro vittima oramai a terra?); qualche scena è spettacolare (la battaglia sul ponte), qualcuna imbarazzante (Cruise che cerca di parlare in italiano e quasi tutto il resto del segmento in Vaticano, tra distruzione a cuor leggero di antichità e l’abbigliamento decisamente non consono al luogo di Maggie Q). Un prodotto di alto artigianato, a cui manca solo un momento davvero memorabile per diventare qualcosa di più.