Judy

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Judy

1968. Lontana dai set cinematografici da qualche tempo e sulla ribalta dello star system da circa 30 anni, la leggendaria Judy Garland arriva a Londra per una serie di concerti a teatro. L'artista è stanca, fragile e vorrebbe trascorrere il proprio tempo con i figli. Ha passato quasi tutta la vita sul palcoscenico, diventando una star internazionale ad appena 17 anni, con 'Il mago di Oz', e vincendo un Oscar giovanile a 18 anni .
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Judy
Attori principali: Renée Zellweger, Jessie Buckley, Finn Wittrock, Rufus Sewell, Michael Gambon, Richard Cordery, Royce Pierreson, Darci Shaw, Andy Nyman, Daniel Cerqueira, Bella Ramsey, Lewin Lloyd, Tom Durant-Pritchard, John Dagleish, Adrian Lukis, Gemma-Leah Devereux, Gus Barry, Jodie McNee, Gus Brown, Matt Nalton, Bentley Kalu, Martin Savage, Phil Dunster, Gaia Weiss, Lucy Russell, John Mackay, Natasha Powell, Bradley Banton, Ed Stoppard, David Shields, Tim Ahern, Peter Forbes, Arthur McBain, David Rubin, Anthony Shuster, Alistair Cope, Jack Jagodka, Fenella Woolgar, Brontë Lavine, Emily Warner, Flora Dawson, Gillian Parkhouse, Jennifer Davison, Jenny Wickham, Joelle Dyson, Lucy Carter, Rebecca Fennelly, Sam Wingfield, Robert Ryan, Mostra tutti

Regia: Rupert Goold
Sceneggiatura/Autore: Tom Edge
Colonna sonora: Gabriel Yared
Fotografia: Ole Bratt Birkeland
Costumi: Jany Temime, Martin Mandeville
Produttore: David Livingstone, Cameron McCracken, Charles Diamond, Aaron Levene, Mickey Liddell, Pete Shilaimon, Lee Dean, Laurence Myers, Andrea Scarso, Ellis Goodman, Rose Garnett, Hilary Williams
Produzione: Gran Bretagna
Genere: Drammatico, Musica, Biografico
Durata: 118 minuti

Dove vedere in streaming Judy

Cinema del dolore / 10 Marzo 2023 in Judy

Come rappresentare la storia di una donna sfortunata, divorata dallo star system e dalle proprie debolezze? Lo si può fare come in Blonde di Andrew Dominik, vera e propria pornografia del dolore, che non arretra di fronte a niente pur di sfruttare cinicamente le sfortune di Marilyn Monroe; oppure si può farlo come in Judy. Qui la serie interminabile di sventure e comportamenti autodistruttivi della protagonista Judy Garland è oggetto di un trattamento certo più rispettoso e artisticamente più valido; ma siamo pur sempre, mi pare, di fronte a una spettacolarizzazione del dolore.

La cosa è più evidente nei flashback della Garland ragazzina, in cui la vicenda si fa surreale, mutuando tratti di favola nera dal Mago di Oz – c’è persino una controparte della Malvagia Strega dell’Ovest. Ma è presente, direi, anche nel resto del film; un po’ per colpa di Renée Zellweger, qui bravissima ma anche spesso gigioneggiante; molto per colpa della regia, che non riesce praticamente mai a rappresentare realisticamente il dolore. Tutto appare falso, a partire dalla calvizie posticcia di Rufus Sewell fino al finale strappalacrime. Persino un episodio che avrebbe potuto costituire un intermezzo sereno e divertente, l’incontro con i fan gay, viene forzato nella misura piagnucolosa del resto: la spettacolarizzazione del dolore non ammette mai che la sfortuna si prenda una pausa.

Questa rappresentazione compiaciuta può suscitare reazioni contrastanti – “Oh poverina!” oppure “Ecco che ne combina un’altra!” – ma non la pietà per un’autentica tragedia. Il cinema del dolore non è migliore della tv del dolore – anche se non riceve in genere la stessa riprovazione.

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The End of the Rainbow / 25 Agosto 2020 in Judy

Ci sono molte ragazze all’altezza di Judy. Più belle di Judy, più alte di Judy, più obbedienti di Judy, più brave a recitare, più intelligenti, più capaci forse. Ma nessuna ha la sua voce. Lo mette in chiaro Louis B. Mayer mentre parla alla ragazzina che ha scelto per interpretare Dorothy nel Mago di Oz. Lei è solo una campagnola, con una madre ansiosa di farla emergere e che verrà rigettata nel mare delle comparse se non farà come le dicono. Così Judy firma un contratto con questo diavolo-orco che le preme la mano sul petto e la circonda con la sua ombra. Trent’anni dopo, con quattro ex mariti all’attivo, tre figli, nemmeno un soldo in tasca e una dieta a base di alcol e pillole, Judy è l’ombra di ciò che è stata, persino la sua voce si è bruciata e si trascina da un palco all’altro in cambio di quattro spiccioli. Il mondo è già pronto a sostituirla con una sua versione più giovane e fresca, traboccante di talento, la figlia Liza Minelli.
La Zellweger ci mette tutta l’anima a interpretare questa donna bambina mai cresciuta, affamata che non si sfama, insonne che non riposa, ma soprattutto, attrice decaduta, troppo vecchia, instabile, non abbastanza bella…una Judy che non si può salvare, nè redimere.
Eppure quando sale sul palco la sua figura piegata dalla scogliosi, fiorisce e si prende uno spazio in cui chiunque altro sembrerebbe ridicolo. Judy sfida chi la circonda “Prova a farlo tu” dice prova tu a rischiare e a metterti sotto la luce, già a sedici anni lo sa, lei è oltre i comuni esseri umani, per questo non può abbandonare Oz. Per il grande pubblico Oz era la meraviglia, era l’arcobaleno, era i colori e la liberazione da un mondo grigio, ma nascondeva dentro di sè plastica, amianto, nani abusivi, produttori orchi e assistenti streghe che porgono veleno sotto forma di pillola. Eppure, è forse anche questo il prezzo per un’eccezionalità impossibile da nascondere, che si materializza solo sul palco.
Prova a farlo tu, a interpretare Judy Garland, senza pietismo, senza angiografia, senza edulcorare, e senza renderla odiosa per questo, o sbagliata. Questo perché per ritrarre un’eccezionalità, hanno sfruttato quella della bravissima Renèe.

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