Recensione su Judy

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Cinema del dolore / 10 Marzo 2023 in Judy

Come rappresentare la storia di una donna sfortunata, divorata dallo star system e dalle proprie debolezze? Lo si può fare come in Blonde di Andrew Dominik, vera e propria pornografia del dolore, che non arretra di fronte a niente pur di sfruttare cinicamente le sfortune di Marilyn Monroe; oppure si può farlo come in Judy. Qui la serie interminabile di sventure e comportamenti autodistruttivi della protagonista Judy Garland è oggetto di un trattamento certo più rispettoso e artisticamente più valido; ma siamo pur sempre, mi pare, di fronte a una spettacolarizzazione del dolore.

La cosa è più evidente nei flashback della Garland ragazzina, in cui la vicenda si fa surreale, mutuando tratti di favola nera dal Mago di Oz – c’è persino una controparte della Malvagia Strega dell’Ovest. Ma è presente, direi, anche nel resto del film; un po’ per colpa di Renée Zellweger, qui bravissima ma anche spesso gigioneggiante; molto per colpa della regia, che non riesce praticamente mai a rappresentare realisticamente il dolore. Tutto appare falso, a partire dalla calvizie posticcia di Rufus Sewell fino al finale strappalacrime. Persino un episodio che avrebbe potuto costituire un intermezzo sereno e divertente, l’incontro con i fan gay, viene forzato nella misura piagnucolosa del resto: la spettacolarizzazione del dolore non ammette mai che la sfortuna si prenda una pausa.

Questa rappresentazione compiaciuta può suscitare reazioni contrastanti – “Oh poverina!” oppure “Ecco che ne combina un’altra!” – ma non la pietà per un’autentica tragedia. Il cinema del dolore non è migliore della tv del dolore – anche se non riceve in genere la stessa riprovazione.

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