Recensione su La notte brava del soldato Jonathan

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La notte brava del soldato Jonathan
Regia:

Spettacolare Siegel / 20 Ottobre 2017 in La notte brava del soldato Jonathan

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Un film curioso, molto interessante e sicuramente riuscito, in cui un Siegel particolarmente ispirato intreccia sapientemente western, thriller, erotismo e suggestioni goticheggianti.

La notte brava… (ennesimo titolo italiano che, nel tentativo di suonare piccante, non imbrocca neppure di striscio il senso di quello originale, The Beguiled, cioè “L’ingannato” o, per estensione, “Il sedotto”) è un film lineare solo in apparenza.
Durante la Guerra Civile americana, un soldato nordista ferito viene curato in un piccolo collegio femminile sudista. L’uomo racconta fandonie per aver salva la pelle e, appena può, sfodera le proprie arti seduttive per fare sue le donne della casa, dalla più piccola alla più anziana, passando per la serva di colore.
C’è molto, in questa traccia narrativa: è un gioco di ruolo basato sul senso dell’ordine e del potere, in cui, alternativamente, i personaggi assumono identità diverse. Vittima, carnefice, salvatore, aguzzino, innocente, colpevole. E, a discendere, le donne che caratterizzano il racconto incarnano le più disparate caratteristiche umane: purezza, sadismo, vendetta, isteria, indifferenza, follia, seduzione.

Grazie a una buona fotografia virata sui toni del marrone, dell’avorio e del verde scuro, e a una affatto banale ricostruzione d’ambiente (sono rimasta impressionata dai piedi scalzi e sporchi di fango delle “signorine”), l’atmosfera generale mi ha ricordato quella dei migliori horror letterari e cinematografici con le case infestate e gli spiriti “imprigionati” al suo interno (penso a Giro di vite di James, a L’incubo di Hill House della Jackson e, ovviamente, a The Others di Amenabar, che credo sia decisamente debitore di questo lavoro di Siegel, soprattutto nell’uso della casa, personaggio attivo del racconto).

Esternamente, il grande edificio in stile coloniale che ospita il collegio sembra patire lo scorrere del tempo, in passato deve essere stato il fulcro di una grande tenuta sudista, coi ricchi campi all’intorno ora saccheggiati e bruciati dagli eserciti di passaggio, ma al suo interno nasconde oggetti di pregio, buon cibo e buon vino, giovani donne e, soprattutto, innominabili segreti. Si tratta di un microcosmo fatato a cui pochi hanno accesso, una specie di Avalon, invisibile a molti, abitato da silfidi, da cui, una volta entrati, è impossibile uscire (vedi, il destino della fragile Edwina o, perfino, il corvo).
Le ragazze andranno mai via da quella casa? Ne arriveranno di nuove? Miss Farnswoth chiuderà davvero il collegio per dedicarsi alla fattoria? Mi piace credere di no e che tutte le occupanti dell’edificio rimarranno per sempre in quel luogo, anche dopo la morte, infestandolo. Le ragazzine sono già state dimenticate dalle famiglie, la stessa signorina Farnswoth non è sicura che le rette le verranno pagate, la guerra potrebbe cancellare definitivamente la memoria di quel gineceo nel bosco.

Il finale è fantastico: l’apparente normalità della follia generale è raggelante e viene sottolineata e amplificata dall’impassibilità delle ragazze che non sembrano intente a tumulare un cadavere. Pare che esse si apprestino ad andare a fare un pic nic (vedi, le istruzioni gentili su come realizzare un punto di cucito, la risposta piccata della bambina raccoglitrice di funghi, ecc.).
La macchina da presa le inquadra dall’alto, dalla casa, forse dal tetto, come se l’edificio stesse osservando silenzioso ma compiaciuto l’atto finale di un dramma cruento ma silente.

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