Recensione su La maschera del demonio

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La maschera del demonio
Regia:

Esempio cristallino di cinema di genere / 20 Luglio 2016 in La maschera del demonio

Quando mi capita di vedere vecchi film che, a dispetto dei mezzi a disposizione all’epoca, sapevano sviluppare con tutti i crismi un plot, creando suggestioni di forte peso, mi domando (retoricamente) come e perché, oggi, simili rese siano quasi impensabili, non solo in Italia, dove i film di genere sono diventati merce rarissima.

La necessità (specie in termini di effetti speciali e scenografie) aguzzava l’ingegno, non ci piove, ma si ha l’impressione che, nelle produzioni come queste di Bava, ci fosse anche una specie di essenzialità che, pur con piccole sbavature, consentiva (soprattutto) di trovare la quadra del racconto, per quanto scalcinato o sopra le righe esso fosse.
La maschera del demonio di Bava è un cristallino esempio di cinema di genere impregnato di tocchi d’autore, a partire dalla comunione tra fotografia e certe ardite inquadrature, espedienti tecnici che suppliscono alle evidenti mancanze da parte degli attori (la Steele, bambola di carne, si salva “attorialmente” quando interpreta la strega, ché la sua Katja è poco più di una pupattola isterica, e lì è anche una gara tra doppiatrici, la grande Lydia Simoneschi e l’ancora giovane Maria Pia Di Meo).

Tra le varie scene che mi hanno impressionata positivamente, c’è la sequenza in cui compare per la prima volta la carrozza nera trainata da cavalli color tizzone infernale è una delle immagini più riuscite dell’intero film, attraente e spaventosa come si conviene.

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