Recensione su Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)

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Birdman, la dolorosa pazzia di un attore… / 7 Febbraio 2015 in Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)

Divertente, poetico, malinconico e astratto. “BirdMan” di Alejandro González Iñárritu è un’esperienza che ci catapulta in un mondo teatrale prima, (ir)reale poi, si, perchè sembra quasi più reale o plausibile la caotica messa in scena sul palcoscenico che la vita presumibilmente vera per le strade di una New York di contorno. E’ tutto un mirabolante teatrino, curato e schizzofrenico, attraverso il quale ci si diverte e ci si emoziona, si sta con i personaggi, ci si affeziona ai loro caratteri, alle loro sfumature, ci si ubriaca con l’interminabile piano sequenza (digitalizzato) che ci porta da una scena all’altra, dal palco alla strada, dai camerini del teatro ai bar della ‘Grande Mela. Tutto rotola, tutto è leggiadro, la fotografia è sublime con i suoi colori a volte caldi, altre volte freddi, elegante e magniloquente, i sentimenti e i contrasti risultano veritieri per quanto enfatizzati e sembrano essere stati scritti con una penna d’oca. “Birdman” è probabilmente ad ora il miglior fim del regista messicano che con questa opera
semba volersi discostare dal nascosto melodrammone messicano dei suoi precedenti lavori, fin troppo solenni, occupandosi di raccontare una vicenda sulla vita e sulla carriera di un attore, ormai disilluso sessantenne, determinato a cambiare registro, a virare verso un tipo di show business meno rozzo ma più artstico. In questo ruolo ammiriamo il vecchio ‘uomo pipistrello’ Michael Keaton che ci regala un’ interpretazione maestosa, stralunata e disincantata nel ruolo di una “ex star” del cinema blockbuster, intenzionata a reinvetarsi sui palchi di Broadway per scrollarsi di dosso quel BirdMan, icona pop ancora amatissima, grazie al quale è tanto famoso e che incombe su di lui quale subdola coscienza, una diabolica vociona onnipresente, una presenza maligna e tentatrice che cerca di persuadere il suo interprete da quelle velleità teatrali tanto agognate e indurlo a tornare ad essere un tutt’uno con quel “mostro” macina soldi dell’industria hollywoodiana. La celebrità che diventa ossessione prima, pazzia poi e che riduce un attore ad un’entità sfruttabile solo a meri fini venali. Ma ogni attore/personaggio è al proprio posto, tutto funge fin troppo bene e ci si abitua anche all’incedere di una ‘soundtrack’ batteristica, firmata Antonio Sanchez, che non cede mai alla melodia lasciando tutto sospeso nell’aria, prorpio come il buon Riggan Thompson di Keaton, mai totalmente uscito dal ruolo chiave della sua carriera.
L’opera è dunque una giostra volteggiante di sensazioni e sentimenti, di stati d’animo bellicosi e di innumerevoli dolori celati, sui quali aleggia tanta passione e una sorta di fuoco dell’arte inespresso. Insomma, Alejandro Gonzalez Inarritu ha colto nel segno e anche se quel suo infinito piano sequenza risulta alla fine dei conti finto, ma assolutamente intelligente, è totalmente apprezzabile.
Keaton ed Edward Norton, che ci regala alcuni momenti davvero esilaranti, tra i quali una fumettistica erezione, insieme rubano la scena, funzionano, molto semplicemente, così’ come la bella Emma Stone, ma l’espressione vaneggiante e ghignate del primo surclassa tutto e tutti quando, forse mestamente, comprende che per quanti sforzi si facciano nel digitalizzato mondo di oggi, nulla vale di più dell’essere un pesonaggio popolare o una semplicissima ‘visualizzazione virtuale’. Un film che funziona, un film bello, un cinema necessario al giorno d’oggi che ci fà comprendere quanto invece non siano per nulla cinema i vari “The Imitation Game” e “La Teoria Del Tutto”. Andate al cinema…

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