Recensione su Django Unchained

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18 Settembre 2013

In generale, il film non mi è dispiaciuto. Certo, è un film di Tarantino, quindi se si va a vederlo si dovrebbe in linea di massima avere un’idea di cosa potrà offrire (splatter e assurdità varie).
La recitazione è piuttosto convincente, anche perché è affidata a due premi Oscar. Inutile dire che Christoph Waltz monopolizza l’attenzione. Qualcuno mi disse che secondo lui “la voce del tedesco non è da tedesco, è da gay”. Questo dipende dal doppiaggio, ovviamente, ma si è sentito di peggio, in ogni caso. Non male anche DiCaprio, Kerry Washington abbastanza ininfluente, pollice decisamente su per Samuel Lee Jackson.
Il vero difetto del film è il quantitativo spropositato di errori, perlopiù storici. Naturalmente la giustificazione base è “è Tarantino”. Sì, è Tarantino, ma questa è, per l’appunto, una scusa, e come tale non dovrebbe essere abusata. Alcune cose sono di poco conto, ma proprio per questo potevano essere cambiate senza incidere sulla trama. Altre sono decisamente gravi (la guerra civile è iniziata nel 1861, non nel 1860, per dire il caso peggiore, ma anche l’uso della dinamite anni prima della sua invenzione solleva diversi dubbi). Tuttavia questo è pur sempre un western, non uno storico. E oltretutto è un film, non un documentario. Perciò si può sorvolare.
Il pregio maggiore è sicuramente l’abbondanza di citazioni, cosa che però non so quanto possa accattivarsi il pubblico non appassionato del genere. Però è davvero un continuo ammiccare, tra canzoni tratte da vecchi spaghetti western, citazioni a “L’ultimo mandingo” e “Lo chiamavano King”, per non parlare degli occhiali da sole (introdotti in America settanta anni dopo, ma vabbé) presi dal Charles Bronson di “Sfida a White Buffalo”. Per un fanatico come me c’è da andare in brodo di giuggiole.
La storia in sé non è male, ma più che il soggetto direi che è la sceneggiatura a essere meritevole. Il finale è stranamente banale, ancora di più se si considera che si tratta di un film di Tarantino, che ci ha abituati alle sorprese.
Analizzandolo come western e non come film in generale, senza dubbio rientra tra quelli che sacrificano la realtà alla spettacolarizzazione. Ci può stare. L’unico elemento a mio avviso un po’ stonante è il fatto che in certe scene si è optato per una più credibile difficoltà dei personaggi a colpire il bersaglio (la precisione all’epoca era tutt’altro che buona), mentre in altre si riesce a fare stragi come niente. Insomma, è un po’ “Open Range” e un po’ “Pronti a morire”.
Apprezzabile la ripresa della tematica “blaxploitation”, che dai tempi di “Posse – La leggenda di Jesse Lee” latitava nel genere, meglio ancora in quanto è stata fusa con le vicende di cacciatori di taglie (come in “Non predicare, spara”?).
A fine visione, la sensazione è stata di soddisfazione e spero che tutto questo aumenti la scarna percentuale di western che giungono nelle sale italiane.

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