Un condannato a morte è fuggito

/ 19568.146 voti
Un condannato a morte è fuggito

Francia, Seconda Guerra Mondiale. Fontaine, membro della Resistenza, è in attesa che venga eseguita la sua condanna a morte ed è recluso all'interno di una minuscola cella. Con i risicati mezzi a sua disposizione, organizza con calma e metodo la sua evasione.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Un condamné à mort s'est échappé
Attori principali: François Leterrier, Charles Le Clainche, Maurice Beerblock, Roland Monod, Jacques Ertaud, Jean Paul Delhumeau, Roger Treherne, Jean Philippe Delamarre, Jacques Oerlemans, Klaus Detlef Grevenhorst, Leonhard Schmidt, Roger Planchon, Mostra tutti

Regia: Robert Bresson
Sceneggiatura/Autore: Robert Bresson
Fotografia: Léonce-Henri Burel
Produttore: Alain Poiré, Jean Thuillier
Produzione: Francia
Genere: Drammatico
Durata: 101 minuti

Dove vedere in streaming Un condannato a morte è fuggito

Un condannato a morte è fuggito / 24 Luglio 2020 in Un condannato a morte è fuggito

“Un condannato a morte è fuggito” è forse il film più famoso di Bresson. La storia è semplice: un partigiano francese viene rinchiuso in una cella ed attende la condanna a morte. Passa il tempo per architettare una fuga: ad un certo punto gli verrà assegnato un compagno di cella di origine tedesca. Sarà una spia o un partigiano?
Il film è realizzato unendo i tratti tipici del cinema di Bresson(una recitazione pressoché anonima, quasi alienante, un uso continuo dei primi piani, una sceneggiatura semplice che fa spesso ricorso alla voce fuoricampo) ad un ritmo da thriller quasi ossessivo, dove i tempi si dilatano fino all’inverosimile. Si nota inoltre un ricorso di uno stile quasi documentaristico(la carcerazione e la fuga vengono raccontata nei minimi particolari) ma il film vuole raccontare, usando le parole di Bresson, non una verità storica, bensì una verità interiore ben più alta, figlia della cultura cattolica entro la quale il regista francese condensa il suo pensiero autoriale .

Leggi tutto

Non ci sono verità storiche nel film… / 22 Agosto 2019 in Un condannato a morte è fuggito

“Non ci sono verità storiche nel film -Un condannato a morte è fuggito- la verità è sempre una verità interiore, umana, tutto ciò che ci proviene dalla storia passata è fortemente falsato, ma se si trova una verità interiore allora si è sicuri di non sbagliare. Non ci sono contraddizioni tra ciò che ho detto e il film, nel film vi erano degli elementi documentari di cui ero assolutamente sicuro, perché i particolari mi erano stati indicati dallo stesso evaso, e non vi era nessuna ragione che mi indicasse cose non vere, che io ho appreso dalla sua stessa voce,anche quella verità è una verità e non si tratta affatto di un film storico o politico, la vera storia è una storia interiore, è la storia dell’uomo che è prigioniero e che non può sopportare di vivere in carcere, e vuole uscire da questo carcere, è la storia eterna dell’uomo che cerca la libertà e che l’ottiene nel pieno delle sue forze, mettendo in pericolo la propria vita”. Robert Bresson.
La prigione è il luogo della condanna e a chi non ha obbedito alla legge degli uomini; il fallimento secondo la legge umana, secondo la legge degli uomini per Bresson è una condizione per accedere alla legge divina, bisogna essere condannati secondo la legge degli uomini per accedere, oserei dire, alla santità: Jeanne D’Arc non può diventare una santa se prima non è condannata, e questo tema si andrà a sviluppare da un film all’altro e trova un primo compimento in Un condannato a morte è fuggito, che è il primo grande capolavoro di Bresson e l’unico film che ebbe un successo folgorante in sala, la gente andava a vederlo come un film suspense di Hitchcock, sospesa alle azioni, pertanto minimali di quest’uomo messo in prigione sotto l’occupazione e che finirà per evadere, Bresson stesso fu imprigionato nel 1940/’41 ma non si può fare a meno di notare che lui, avendo avuto la stessa esperienza, presenta la prigione a più riprese e in Un condannato a morte è fuggito
ci ritroviamo in una situazione che avrebbe potuto essere la sua.
Bresson prende comunque ispirazione ad un fatto realmente accaduto, André Devigny, eroe della Resistenza, fu imprigionato a Lione ma riuscì dopo ad evadere nel 1943, il racconto della sua fuga apparse dieci anni più tardi nel Figaro littéraire, tredici anni più tardi Bresson porta al grande schermo questa storia e affida a Dévigny un ruolo minore, fu internato a Fort Montluc e torturato da Klaus Barbie, personaggio sinistro di quell’epoca, soprannominato il macellaio di Lione, Devigny tenta una prima evasione nel corso di un trasferimento ma poi fu preso e ferito.
Nei film di Bresson il movimento è molto importante, i personaggi sono in movimento, in costante movimento, da un film all’altro vagano, camminano, salgono le scale, scendono le scale, aprono le porte, chiudono le porte, sono in movimento perpetuo e spesso Bresson si diverte ad inquadrare i piedi dei modelli, per mostrare soltanto i passi, soltanto il movimento perpetuo, fino a che vengono arrestati…
È un film nel quale Bresson andrà a sviluppare questo senso di epurazione, (fondamentale in Bresson) ed accrescere l’attenzione ai suoni e la musica dei suoni ed è così che andrà a catturare l’attenzione per più di un’ora su un uomo che estrae un fil di ferro dal suo materasso che poi legherà a una corda per rafforzarla e permettergli di scappare, si servirà pure di un cucchiaio per staccare progressivamente le tavole dalla porta della sua cella per fuggire.
È dunque un film nel quale si sviluppa questo senso di epurazione in maniera a mio avviso esemplare, come d’altronde non cesserà mai di fare in seguito.
Bisogna insistere sul fatto che non c’è nessun suono naturale nei film di Bresson, che durante le riprese parla ai suoi modelli, (non parla più di attori, ma di modelli) ma che poi andrà a perfezionarlo in studio dopo le riprese, e andrà così a dosare, ad equilibrare questa materia sonora, questa materia musicale che gli forniscono i rumori per comporre un autentica partitura dove la voce umana, i rumori dei passi, gli oggetti, il rumore del suono quando gratta il muro, insieme di rumori che costituiscono una composizione, nello stesso tempo pitturale e sonoro.
L’evasione di Un condannato a morte è fuggito è altresì un’evasione verso la Grazia, un’evasione fuori della sua prigione terrestre e soprattutto l’evasione definitiva di Robert Bresson fuori dal cinema che ha praticato finora, cinema che non può più concepire.
È finita! Con questo film ha messo un punto definitivo, è dovuto passare attraverso la prigione, da questo prosciugamento, questa traversata del deserto, nel senso proprio del termine, per raggiungere ciò che per lui è il cinematografo, passare per la prigione per evadersi fuori dal cinema in uso prima di lui.

Leggi tutto