Recensione su Un condannato a morte è fuggito

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Non ci sono verità storiche nel film… / 22 Agosto 2019 in Un condannato a morte è fuggito

“Non ci sono verità storiche nel film -Un condannato a morte è fuggito- la verità è sempre una verità interiore, umana, tutto ciò che ci proviene dalla storia passata è fortemente falsato, ma se si trova una verità interiore allora si è sicuri di non sbagliare. Non ci sono contraddizioni tra ciò che ho detto e il film, nel film vi erano degli elementi documentari di cui ero assolutamente sicuro, perché i particolari mi erano stati indicati dallo stesso evaso, e non vi era nessuna ragione che mi indicasse cose non vere, che io ho appreso dalla sua stessa voce,anche quella verità è una verità e non si tratta affatto di un film storico o politico, la vera storia è una storia interiore, è la storia dell’uomo che è prigioniero e che non può sopportare di vivere in carcere, e vuole uscire da questo carcere, è la storia eterna dell’uomo che cerca la libertà e che l’ottiene nel pieno delle sue forze, mettendo in pericolo la propria vita”. Robert Bresson.
La prigione è il luogo della condanna e a chi non ha obbedito alla legge degli uomini; il fallimento secondo la legge umana, secondo la legge degli uomini per Bresson è una condizione per accedere alla legge divina, bisogna essere condannati secondo la legge degli uomini per accedere, oserei dire, alla santità: Jeanne D’Arc non può diventare una santa se prima non è condannata, e questo tema si andrà a sviluppare da un film all’altro e trova un primo compimento in Un condannato a morte è fuggito, che è il primo grande capolavoro di Bresson e l’unico film che ebbe un successo folgorante in sala, la gente andava a vederlo come un film suspense di Hitchcock, sospesa alle azioni, pertanto minimali di quest’uomo messo in prigione sotto l’occupazione e che finirà per evadere, Bresson stesso fu imprigionato nel 1940/’41 ma non si può fare a meno di notare che lui, avendo avuto la stessa esperienza, presenta la prigione a più riprese e in Un condannato a morte è fuggito
ci ritroviamo in una situazione che avrebbe potuto essere la sua.
Bresson prende comunque ispirazione ad un fatto realmente accaduto, André Devigny, eroe della Resistenza, fu imprigionato a Lione ma riuscì dopo ad evadere nel 1943, il racconto della sua fuga apparse dieci anni più tardi nel Figaro littéraire, tredici anni più tardi Bresson porta al grande schermo questa storia e affida a Dévigny un ruolo minore, fu internato a Fort Montluc e torturato da Klaus Barbie, personaggio sinistro di quell’epoca, soprannominato il macellaio di Lione, Devigny tenta una prima evasione nel corso di un trasferimento ma poi fu preso e ferito.
Nei film di Bresson il movimento è molto importante, i personaggi sono in movimento, in costante movimento, da un film all’altro vagano, camminano, salgono le scale, scendono le scale, aprono le porte, chiudono le porte, sono in movimento perpetuo e spesso Bresson si diverte ad inquadrare i piedi dei modelli, per mostrare soltanto i passi, soltanto il movimento perpetuo, fino a che vengono arrestati…
È un film nel quale Bresson andrà a sviluppare questo senso di epurazione, (fondamentale in Bresson) ed accrescere l’attenzione ai suoni e la musica dei suoni ed è così che andrà a catturare l’attenzione per più di un’ora su un uomo che estrae un fil di ferro dal suo materasso che poi legherà a una corda per rafforzarla e permettergli di scappare, si servirà pure di un cucchiaio per staccare progressivamente le tavole dalla porta della sua cella per fuggire.
È dunque un film nel quale si sviluppa questo senso di epurazione in maniera a mio avviso esemplare, come d’altronde non cesserà mai di fare in seguito.
Bisogna insistere sul fatto che non c’è nessun suono naturale nei film di Bresson, che durante le riprese parla ai suoi modelli, (non parla più di attori, ma di modelli) ma che poi andrà a perfezionarlo in studio dopo le riprese, e andrà così a dosare, ad equilibrare questa materia sonora, questa materia musicale che gli forniscono i rumori per comporre un autentica partitura dove la voce umana, i rumori dei passi, gli oggetti, il rumore del suono quando gratta il muro, insieme di rumori che costituiscono una composizione, nello stesso tempo pitturale e sonoro.
L’evasione di Un condannato a morte è fuggito è altresì un’evasione verso la Grazia, un’evasione fuori della sua prigione terrestre e soprattutto l’evasione definitiva di Robert Bresson fuori dal cinema che ha praticato finora, cinema che non può più concepire.
È finita! Con questo film ha messo un punto definitivo, è dovuto passare attraverso la prigione, da questo prosciugamento, questa traversata del deserto, nel senso proprio del termine, per raggiungere ciò che per lui è il cinematografo, passare per la prigione per evadersi fuori dal cinema in uso prima di lui.

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