ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
Prima stagione
Posso dire senza eccessivo timore di essere smentita, che, nel bene o nel male, Lenny Belardo alias Pio XIII è entrato nelle nostre vite di teleutenti per lasciare un segno indelebile: ritengo che, nell’ambito della produzione televisiva (e cinematografica!) internazionale, The Young Pope sia un unicuum di impossibile riproposizione.
Se Belardo si presenta come un papa rivoluzionario, pronto a sconvolgere le coscienze, allora The Young Pope è la rivoluzione del concetto tradizionale di serie tv: privo di un’identità di genere propriamente detta, il lavoro di Sorrentino si basa su un canovaccio che lascia presto da parte sentieri battuti altrove, evitando scientemente di usare gli intrighi di palazzo, le pruderie e le ripercussioni fantapolitiche come assi portanti della storia.
Sorrentino si prefigge si raccontare una vicenda potenzialmente atemporale e delocalizzata: nella sua inviolabilità, il Vaticano sorrentiniano è solo un’idea, è Camelot, è un sogno circondato dalla malia struggente e decadente della grande bellezza di Roma. E, se nel film premiato con l’Oscar, Jep Gambardella voleva avere il potere di far fallire la scintillante, chiassosa, fuori misura ma inconsistente mondanità romana, Papa Belardo è consapevole di avere a disposizione i mezzi per sconvolgere la Chiesa di Roma e tutti i suoi accoliti, siano essi più o meno dichiarati, se non -addirittura- più o meno consapevoli.
Il Papa di Sorrentino è il fulcro di una narrazione che, come il suo protagonista, sfugge a ogni possibile catalogazione: la vicenda di Belardo si snoda all’interno di una sorta di iperuranio sorrentiniano pervaso da ieratica ironia, in cui i pensieri, le azioni, le preghiere e le intenzioni del pontefice si spandono lentamente all’esterno delle mura vaticane, pervadendo il mondo lentamente, sensibilmente, totalmente, riempiendolo in ogni interstizio. La spasmodica ricerca di amore del giovane papa è il motore di una vicenda che, visto il soggetto coinvolto, passa gradualmente da un piano personale ad uno collettivo e condiviso, toccando temi di secolare attualità (l’ossimoro è voluto), come l’aborto, l’omosessualità, la pedofilia e l’ingordigia praticate all’interno delle istituzioni ecclesiastiche, affrontando tali argomenti senza alcuna facile ipocrisia o accomodamento, ma proponendo il punto di vista di un uomo (prima ancora che un pontefice) che non cerca scorciatoie o facili consensi di massa e che, con il suo culto del mistero e del fanatismo religioso, ha una precisa idea di apostolato: Pio XIII, il miracoloso, ambisce esclusivamente a trovare Dio, che, egli è certo, è composto da, anzi è, quell’amore che, fin dall’infanzia, gli è stato negato.
Belardo ha bisogno di Dio/dell’amore incondizionato, per trovare il suo posto nel mondo. Letteralmente, Pio XIII ha fatto sua la riflessione di un altro personaggio sorrentiniano: “Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore”.
The Young Pope è costituito da una massa densissima di contenuti, dialoghi e forme: Sorrentino l’ha definito “il figlio bello di letteratura e cinema”, concepito percorrendo precise direzioni documentarie e iconografiche.
Il risultato, pretenzioso ma appagante (e costosissimo, stando all’apparato di forze dispiegato), comunque non esente da taluni difetti, come un certo eccesso di metafore, è nato dalla fortunatissima compresenza di un progetto narrativo ben definito, di interpreti (tutti, non solo lo strepitoso Jude Law) in superbo spolvero e di maestranze d’eccellenza (come il direttore della fotografia Luca Bigazzi, la scenografa Ludovica Ferrario e i costumisti Canfora e Poggioli): questa serie tv dimostra -se ancora ve ne fosse bisogno- che la fantasia, assecondata e nutrita dai più variegati apparati culturali, può (ancora) dare vita a inediti mondi narrativi ed espressivi.
Voto prima stagione: 8
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