Recensione su The Imitation Game

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Valanga di stereotipi / 10 Luglio 2016 in The Imitation Game

Come dev’essere un genio matematico? È ovvio: autistico, insensibile allo humour, incapace di stringere amicizie e di lavorare in gruppo, troppo conscio del proprio valore, in lotta con le autorità. Questa valanga di stereotipi sommerge la vera personalità di Alan Turing, senza dubbio eccentrico ma non fino a questo punto. La verità storica viene del resto sistematicamente distorta nel film, seguendo una tendenza preoccupante del cinema contemporaneo; e il risultato è probabilmente meno drammatico dei fatti come si sono svolti. Chi può trovare convincente anche solo per un attimo l’episodio (inventato di sana pianta) del collaboratore di Turing con il fratello a bordo della nave in procinto di essere affondata? O la selezione dei crittografi per mezzo di un cruciverba (che c’entra pochino con la crittografia)?
A parte le invenzioni, la sceneggiatura risulta insulsa e fiacca, con le scene dell’infanzia che non aggiungono nulla alla trama, o buchi clamorosi, come la lettera a Churchill (in buona parte anch’essa inventata) che non viene minimamente sfruttata a fini drammatici: parte in un fotogramma, e in quello successivo ha già sortito il suo effetto.
Dal disastro si può salvare la performance di Cumberbatch – con la consapevolezza che però si tratta appunto di un tour de force mirato a strappare l’applauso, non a costruire un personaggio artisticamente credibile. Coi clichés, del resto, non si fa arte.

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