Recensione su La vendetta di un uomo tranquillo

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Buon film di genere / 2 Aprile 2017 in La vendetta di un uomo tranquillo

Il cinema spagnolo si conferma fucina di film di genere interessanti e ben orchestrati: oltre al dramma e alla commedia, l’horror, la fantascienza e il thriller sono tra i terreni più battuti dalla cinematografia iberica e i buoni risultati sono frequenti, tanto che -per fortuna- i felici exploit in patria consentono che diversi tra questi titoli interessanti vengano distribuiti anche nelle sale italiane.

Pure il teso La vendetta di un uomo tranquillo rientra in queste recenti produzioni di successo: vincitore di numerosi Premi Goya 2016, tra cui quello per il miglior film, il lungometraggio è diretto da Raúl Arévalo, noto attore spagnolo (La isla minima, Gli amanti passeggeri) al suo debutto dietro la macchina da presa (Premio Goya anche come miglior regista esordiente).
Tecnicamente convincente, caratterizzato com’è da una direzione molto salda (ineccepibile la scena iniziale) e da fotografia, montaggio e scenografia (belle le scelte un po’ sporche/ un po’ rètro negli ambienti del bar e della casa di Ana), il film di Arévalo difetta in originalità, proponendo uno schema ormai abusato come quello dell’uomo tranquillo (per l’appunto) che si trasforma in una implacabile macchina da guerra.
Con accenti e soggetti diversi, infatti, questo schema ci è stato mostrato da autori come Peckinpah (Cane di paglia) e Monicelli (Un borghese piccolo piccolo), nonché da un numero imprecisato di film western e d’azione.

A dispetto della riproposizione di un cliché narrativamente abusato, però, il film di Arévalo colpisce per la determinazione cieca del personaggio che dà il titolo alla pellicola: alla stregua di un robot privo di coscienza e tarato su un compito preciso, egli procede sistematicamente, mostrando di aver smarrito completamente la propria umanità, pronto a disintegrare la vita di numerose persone in nome di una vendetta completamente fine a sé stessa.
Bravi gli attori, alcuni dei quali (Antonio de la Torre e Manolo Solo, in particolare) risultano abbastanza familiari ai frequentatori del cinema iberico, tutti estremamente credibili e ben caratterizzati sia dal punto di vista psicologico che fisico.

3 commenti

  1. inchiostro nero / 9 Novembre 2017

    Un thriller senza fronzoli, questo spagnolo. Una vendetta fredda, rapida e pungente, forse troppo.

  2. Stefania / 11 Novembre 2017

    @inchiostro-nero: pensi che la conclusione sia troppo repentina? Per quanto interessante, non è un film esente da difetti, per quel che ricordo.

  3. inchiostro nero / 12 Novembre 2017

    @stefania: Nel finale ho avuto questa sensazione, di aver visto un po’ un film a metà. Forse il più grande difetto di questa pellicola risiede nella sua sceneggiatura, che non lascia molto spazio all’introspezione dei personaggi.

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