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La vendetta di un uomo tranquillo

/ 20166.938 voti

Guagliò / 24 Giugno 2017 in La vendetta di un uomo tranquillo

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

In un quartiere un po’ delle balle di una città un po’ delle balle (hopefully, Madrid) c’è José che va al bar. Poi passa Paperino, con la pipa in bocca… no. Nel prologo un tipo faceva il palo&autista durante una rapina, ma si fa pizzicare. José va al bar in un quartiere di periferia, ed è proprio un uomo tranquillo. Un po’ inquietante, perché è come me, guarda come me una gnocca spagnola (vabbè, è spagnola, fa quel che si può – io sono antispagnolo. E antiitaliano. E anti a caso altri :/ ) ma non le parla, pare proprio innamorato, va alle feste e non si diverte, non ha il suo nome scritto sul bicchiere, ma lo stesso guarda malinconico la gente che balla con una birra in mano. I mean, c’est moi! La barista amica sua gli dice qualcosa all’orecchio, supposedly “vai e stantuffala”, ma in spagnolo. Quindi lui segue Ana (il coro greco circostante grida “Anala!”), la trova in un locale con musica così tipicamente hola olè vale vale vale, che si sbronza da sola. Ora, io sono un po’ (molto) sulle mie, ma gente che vada a sbronzarsi da sola non ne conosco, nei film succede sempre. Comunque, finiscono a letto. Intanto Curro esce di prigione. Curro è brutto, pettinato corto a scodella. E, soprattutto (soprabbrutto), nessuno è abbastanza spiritoso da dirgli “Curro curro quaglio’”. Ana aspettava che Curro uscisse dal carzaro, lui era l’autista&palo, e hanno un figlio. Ma ora Ana tentenna, vuole stare con José, che è pure ricco e parassita (cioè, uao) ed è proprio tranquillo? Ana segue José nella casa di campagna. E qui avviene il twist, on decouvre che José era fidanzato con la commessa di una gioielleria uccisa durante una rapina, sì lei, in cui Curro faceva il palo. BUAAAAAAAAAAAA, non te l’aspettavi eh? Scusa. Da 8 anni aspettava che Curro uscisse, insinuandosi a mo’ di MachiavelMefistofelAltrobadassrandom nella vita di Ana nel bar povero, per scoprire chi fossero i suoi complici e fargliela pagare – pagherete caro, pagherete tutto. Da qui diventa una rincorsa, alternando Ana nella casa che scopre molto lentamente la verità e Curro e José, insieme per motel e strade polverose di Spagne polverose, a inseguire i vecchi altri criminali, tre, che si erano rifatti una vita grazie al silenzio di Curro, e a ucciderli in vari modi. Con un cacciavite in gola, sparandogli in testa con un fucile, cose del genere. Del resto vagli a scassare il ca**o all’uomo tranquillo, quello è metodico, se la prende un sacco.
Si tratta di un film così spagnolo, nella linea di altri film altrettanto, opera prima di uno degli attori di Balada triste de trumpeta (BOOM). Per cui si sente l’Almodovar lontano, i titoli sparati in giallo, ma anche una certa aria di nouvelle vague fatta con la paella, e si scopre progressivamente chi è chi e perché. Tipo all’inizio io Curro lo odiavo, poi s’è scoperto che era meglio non somigliar troppo all’uomo tranquillo :/ Che l’è propi’n pataton!
E infine, ma non alla fine, c’è un nano, gli spagnoli (e io) adorano i nani (ricordiamo: Blancanieves) e io e gli spagnoli abbiamo infine qualcosa in comune.

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Buon film di genere / 2 Aprile 2017 in La vendetta di un uomo tranquillo

Il cinema spagnolo si conferma fucina di film di genere interessanti e ben orchestrati: oltre al dramma e alla commedia, l’horror, la fantascienza e il thriller sono tra i terreni più battuti dalla cinematografia iberica e i buoni risultati sono frequenti, tanto che -per fortuna- i felici exploit in patria consentono che diversi tra questi titoli interessanti vengano distribuiti anche nelle sale italiane.

Pure il teso La vendetta di un uomo tranquillo rientra in queste recenti produzioni di successo: vincitore di numerosi Premi Goya 2016, tra cui quello per il miglior film, il lungometraggio è diretto da Raúl Arévalo, noto attore spagnolo (La isla minima, Gli amanti passeggeri) al suo debutto dietro la macchina da presa (Premio Goya anche come miglior regista esordiente).
Tecnicamente convincente, caratterizzato com’è da una direzione molto salda (ineccepibile la scena iniziale) e da fotografia, montaggio e scenografia (belle le scelte un po’ sporche/ un po’ rètro negli ambienti del bar e della casa di Ana), il film di Arévalo difetta in originalità, proponendo uno schema ormai abusato come quello dell’uomo tranquillo (per l’appunto) che si trasforma in una implacabile macchina da guerra.
Con accenti e soggetti diversi, infatti, questo schema ci è stato mostrato da autori come Peckinpah (Cane di paglia) e Monicelli (Un borghese piccolo piccolo), nonché da un numero imprecisato di film western e d’azione.

A dispetto della riproposizione di un cliché narrativamente abusato, però, il film di Arévalo colpisce per la determinazione cieca del personaggio che dà il titolo alla pellicola: alla stregua di un robot privo di coscienza e tarato su un compito preciso, egli procede sistematicamente, mostrando di aver smarrito completamente la propria umanità, pronto a disintegrare la vita di numerose persone in nome di una vendetta completamente fine a sé stessa.
Bravi gli attori, alcuni dei quali (Antonio de la Torre e Manolo Solo, in particolare) risultano abbastanza familiari ai frequentatori del cinema iberico, tutti estremamente credibili e ben caratterizzati sia dal punto di vista psicologico che fisico.

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