Con La ballata di Buster Scruggs, i Coen prodotti e distribuiti (solo in streaming) da Netflix realizzano un film a episodi, il primo della loro filmografia, dichiaratamente ispirato al genere cinematografico a capitoli autoconclusivi sperimentato ampiamente in Italia negli anni Sessanta.
Il filo conduttore del progetto è il mito della Frontiera americana celebrato dai classici western e, qui, riletto in chiave parabolica, con una chiara derivazione narrativa ebraica.
L’ibrido coeniano, premiato a Venezia 2018 per la miglior sceneggiatura, alterna momenti ironici ad altri più drammatici e gioca con registri cinematografici diversi (dal musical già accennato nel precedente film dei Coen, Ave, Cesare!, al fantasy), mantenendo di fondo, anche nelle situazioni più seriose, uno spiccato gusto per un fatalismo che ben si adatta all’umor nero generale che permea le varie storie.
I 6 episodi che compongono il film sono raccolti idealmente in un libro illustrato (un’escamotage simile a quello che Disney usava per introdurre i suoi classici animati, ricordate?). Le storie si distinguono per tono, argomento e presenza di almeno una guest star diversa in ogni episodio, ma sono tutte accomunate dal fatto che ognuna contiene un messaggio differente con funzione quasi pedagogica. In più occasioni, quando non risulta palese grazie alle immagini mostrate, esso viene esplicitato nelle ultime pagine di ciascuna storia contenuta nel libro che, sfogliato da una mano anonima, viene mostrato all’inizio e alla fine di ogni racconto.
The Ballad of Buster Scruggs, che ha per protagonista Tim Blake Nelson, illustra le gesta di un pistolero canterino con la parlantina e la pistola più veloce del West. Near Algodones, con James Franco, racconta le disavventure di un rapinatore di banche (con un richiamo specifico a Il buono, il brutto, il cattivo di Leone). Meal Ticket (tra i più cinici della raccolta), con Liam Neeson e Harry Melling (Dudley Dursley nei film della saga di Harry Potter), parla della triste vita di un personaggio che sembra uscito da Freaks di Browning (o da The Elephant Man di Lynch, volendo insistere sulle origini britanniche dei protagonisti). All Gold Canyon, con Tom Waits (che, inevitabilmente, canticchia), mostra la tenacia di un anziano cercatore d’oro (e i danni dell’antropizzazione su un territorio vergine). The Gal Who Got Rattled, con Zoe Kazan, accenna alle fatiche dei pionieri grazie alla storia di una ragazza sfortunata. The Mortal Remains, con Brendan Gleeson e Tyne Daly, è una vera e propria gothic tale che (chiudendo il cerchio) riprende il tono fantastico del primo episodio e in cui mi è parso risuonino, fortissimi, gli echi della cultura ebraica a cui appartengono i Coen (non a caso, a fine visione, ho detto al mio compagno di divano: “Questo episodio, in quanto a ermetismo, potrebbe stare dalle parti dell’intro di ‘A Serious Man’…”).
Nonostante la natura eterogenea del film, La ballata di Buster Scruggs è un film compiuto, solido, a cui si può eccepire molto poco dal punto di vista estetico: i Coen si sono affidati a professionisti con cui collaborano da tempo. Molto bella la fotografia ariosa e piena di luce (a dispetto dei toni nerissimi della narrazione) firmata da Bruno Delbonnel, efficace la ricostruzione d’ambiente con i costumi di Mary Zophres e le scenografie di Jess Gonchor, entrambi candidati agli Oscar grazie a Il Grinta. Curiosità: il montaggio è curato dagli stessi Coen con lo pseudonimo di Roderick Jaynes.
L’impianto narrativo, in cui ogni dettaglio d’ambiente è estremamente funzionale alla resa complessiva, è inscalfibile e anche le sue parti più oscure e, forse, meno comprensibili (almeno a una prima occhiata) mi sono sembrate efficaci, correttamente spiazzanti.
Con poca tema di essere smentita, finora (cioè, senza aver ancora visto Roma di Cuarón, per esempio, ed escludendo il progetto di L’altra faccia del vento di Welles), dopo l’italiano Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, La ballata di Buster Scruggs è il film originale Netflix più riuscito.
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