It’s only a Paper Moon / 1 Ottobre 2016 in Luna di carta

Altro tassello del filone nostalgico della New Hollywood, quello di cui Bogdanovich era guru incontrastato, Paper Moon dipinge un’originale storia di affetti al tempo della Grande Depressione. I protagonisti sono padre e figlia anche nella vita reale: Ryan O’Neal, reduce dal successo di Love Story, e l’esordiente Tatum O’Neal, che vincerà l’oscar come attrice non protagonista (la più giovane vincitrice di sempre) per il ruolo dell’impertinente Addie (in realtà assoluta protagonista del film, ma all’Academy avevano qualche remora a candidare una bambina per il principale premio attoriale).
Una sceneggiatura, tratta da un romanzo di Joe David Brown, che è innegabilmente debitrice a Il monello di Chaplin (il simpatico espediente con cui i due sbarcano il lunario – la vendita di bibbie alle vedove individuate tramite i necrologi – ricorda lo scherzetto del vetro di Chaplin e Jackie Coogan) ma che richiama anche il Bonnie and Clyde di Arthur Penn.
Per il resto, risalta la splendida fotografia in bianco e nero di László Kovács, altro guru della New Hollywood (sua la fotografia di Easy Rider) e fedele collaboratore di Bogdanovich.
Kovács dipinge un Kansas monotono e nostalgico, su scala di grigio poco contrastata, riportandoci alla memoria la fattoria di Dorothy de Il mago di Oz.
Memorabili, in particolare, i bucolici campi lunghi della parte iniziale e del finale.
Il suggestivo titolo originale deriva da una canzone anni Trenta che fa parte della nostalgica colonna sonora.

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