Recensione su Nope

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Peele e le lunghe metafore / 18 Marzo 2024 in Nope

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Finora, avevo trovato i film di Jordan Peele interessanti.
Negli ultimi anni, Peele ha contribuito a portare in auge un rinnovato cinema politico di taglio fantascientifico, in cui, attraverso il medium cinematografico, si portano in scena metafore che provano a raccontare, in codice (e con i codici del cinema di genere), un tempo presente molto contraddittorio in tutti i suoi asetti.
Ora, Nope mi ha lasciato perplessa, rispetto ai lavori precedenti di Peele che ho visto, perché l’uso della metafora mi è sembrato (se possibile) ancora più fine a se stesso del solito. Cioè, è come se lo scopo di Peele, qui forse più che altrove, sia quello di vedere fino a che punto il pubblico riesce a stargli dietro.

Ho letto un articolo del Time in cui venivano proposte almeno quattro chiavi di lettura del film (è una parabola sul potere del cinema, una critica sulla cultura del controllo, un modo di parlare di storia afroamericana, un film sul capitalismo). Il che, posto che tutte possano essere confermate, mi pare sintomo di una certa urgenza comunicativa da parte del regista, ma anche di una scarsa coesione di intenti (intendo: Peele sembra aver voluto parlare di troppe cose contemporaneamente – e non che non potesse farlo, eh! Non che queste cose non possano essere affrontate insieme, eh! -, senza approfondire un tema specifico, benché la questione dell’identità e dello sfruttamento dell’individuo mi sembrino preponderanti).

A conti fatti, Nope può essere visto come una rilettura e una declinazione in chiave sociologica del film Lo squalo di Spielberg (non è affatto un caso che quello di Spielberg venga considerato il primo blockbuster estivo della storia del cinema e che, nel 2022, Peele abbia scelto di far debuttare il suo film a luglio, perlomeno negli Stati Uniti).
L’alieno (?) di Peele è “territoriale e affamato” come i mostri di Spielberg (vedi anche i dinosauri di Jurassic Park) che, allo stesso modo dell’assurdo occhio/bocca/ano volante di Nope, sono o possono diventare oggetto di mercificazione mediatica proprio per via della propria natura animale.

Peele riesce a creare in modo raffinato un’ottima atmosfera tesa e disturbante (di fondo, lo spettatore non ha assolutamente idea di cosa debba aspettarsi dal film, neanche durante il pieno svolgimento del lungometraggio, e non è una cosa banale), ma confesso che parte del suo lavoro, con me, è andato perso durante la lunga sequenza della “cattura” del mostro, anche a causa della rappresentazione dell’evoluzione dell’alieno in forma “fluttuante”. In realtà, è molto interessante anche l’uso di una forma cangiante per il mostro, perché è chiaro che l’alieno è una creatura organica, non un ufo di natura meccanica e ingegneristica, e che, cambiando forma, mette in atto tecniche tipiche di quegli animali terrestri che si gonfiano o adottano tecniche simili per apparire più grossi e spaventare i nemici. Ma tutto questo è chiaro fin dal momento in cui si comprende che l’ufo mangia ciò che cattura e che adotta comportamenti “animali”, quando si rapporta con quelle che, a tutti gli effetti, sono prede (si apposta, si mimetizza, caccia, cattura, mangia, digerisce).
A un certo punto, quindi, ho cominciato a domandarmi perché, in generale, Peele abbia sentito la necessità di diluire in questi termini e con questa durata il racconto.
Per esempio, anche la parentesi della scimmia Gordy è funzionale a sottolineare il binomio mostro e merce, ma -ouh, che vi devo dire- mi è sembrata troppo didascalica e sovrabbondante (per quanto sviluppata in modo correttamente inquietante).

Insomma, sulla distanza, Nope (che, paradossalmente, è un film perfetto nella forma e nella tecnica) mi ha annoiata e, con me, ha gettato alle ortiche le sue ottime premesse (e una bella citazione di Akira).

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