M / 16 Febbraio 2021 in Malcolm & Marie
Una giovane coppia torna a casa dopo la premiere di un film da lui diretto: lei è (giustamente) incazz**e perché nel discorso di ringraziamento ha menzionato tutti tranne la compagna, pur essendo il film basato sulla storia di lei. I due litigano per un’ora e mezza.
Un jeux de massacre che ha ovviamente precedenti nobili nella storia del cinema, e ancor di più in quella del teatro. Ma se ci lasciamo alle spalle una certa dimensione irritante, che di sicuro, ammettiamolo, non manca, questo film merita un’attenzione che il dibattito polarizzante gli sta negando (soprattutto nel mondo liberal americano, dove è ormai considerato scorretto persino che un regista/sceneggiatore bianco scriva e metta in scena due personaggi neri): ma è invero molto interessante il fatto che il protagonista maschile (Washington) non faccia quasi altro che processare con grande lucidità tutto l’apparato critico contemporaneo, specialmente statunitense, di fronte ai prodotti mediali. Ci sono tutte le parole chiave della tecnica cinematografica, degli studi di genere, di quelli sull’identità, della culturologia, dell’impegno politico. Ed è ancor più interessante come alcuni meccanismi di questo processo di autorappresentazione vengano svelati, nei gangli più oscuri, dal personaggio femminile (Zendaya) in conflitto per tutto il film con l’uomo, in un contrasto in cui i due si rimbalzano il ruolo di coscienza e inconscio.
“Il re è nudo” è quanto dice Zendaya, ed è un’intelligentissima mossa di autoradiografia del film nel mentre in cui il film lo si sta vedendo. È chiaro che il regista Sam Levinson è molto astuto, qualcuno direbbe furbetto, da questo punto di vista, e quindi si costruisce un enorme sistema di difesa decostruttiva nei confronti del film che potrebbe essere distrutto per gli stessi motivi attraverso i quali Zendaya distrugge il film del compagno, e che quindi il gioco meta- (metacinematografico, metadialogico, metadiscorsivo) è fin troppo esasperato, però questo permette anche di fare un passo oltre la patina dell’irritazione (che rimane però il vero disvalore del film).
In diversi frangenti sgradevole, dunque, e in alcuni tratti un po’ paraculo, ma anche così pieno di spunti di riflessione e di autoanalisi come il cinema contemporaneo (e soprattutto il cinema statunitense e il cinema di Netflix) raramente ci regala. E se anche i valori estetici non sempre sono all’altezza, quelli discorsivi che ne sono il fulcro sono un ordigno pronto a esplodere: una sfida allo spettatore, un test per vedere quanto chi guarda i film, e i cinefili in particolare, hanno sovrastrutture ideologiche e culturali nei confronti di personaggi così ambigui. E a giudicare da come è stato accolto il film, soprattutto oltreoceano, in pochi lo stanno capendo.