Foglie al vento

Colori cupi. Alcolismo. Volti impietriti o impassibili. Disoccupazione e lavori malpagati. Tristi canzoni finlandesi. Notizie di guerra alla radio. È l’estetica della depressione di Aki Kaurismäki, corretta da una leggera, pervasiva ironia e dalla speranza dell’amore, che alla fine la rendono sopportabile e anzi stranamente gradevole. Davvero un bel film.

Kaurismäki non ha perso una briciola della propria impronta autoriale e, lontano da qualsiasi “moda” ma attento alle cronache di questi tempi, conserva coerentissimi la propria filosofia cinematografica e il suo sguardo sul mondo.

Foglie al vento è una storia buffa, molto drammatica e molto romantica, piena di tristezza e speranza, critica in ottica sociale e politica, che si svolge ora, ma che, grazie alle consuete significative scelte estetiche e tecniche del regista, potrebbe aver luogo nel passato o nel futuro (in questo senso, è significativo che un calendario appeso nella cucina del bar in cui inizia a lavorare Ansa sia dell’anno 2024, mentre il film è del 2023 e i fatti relativi alla guerra in Ucraina raccontati alla radio mi pare che risalgano al 2022).

Sette stelline e mezza.

Quasi sottovoce, nel sottofondo del rumore dei macchinari, si svolge questa delicata storia d’amore diretta con rispetto e semplicità. Sebbene le inquadrature siano quesi perfette, una per tutte quella del mucchietto di cicche fuori dal cinema, la fotografia resta nebbiosa, leggermente scura ed opaca. Non so dare un significato a questa scelta, sinceramente, se non che la Finlandia suburbana deve essere un po’ cupa. Bravi i pochi protagonisti, magistrale l’uso del karaoke, fantastica la band femminile dal vivo. Un film che scorre come una canzone dei Cure, apparentemente gotica, essenzialmente dolcissima. Voto alto. Lo rivedrei.