Funny Games

Arancia Meccanica ha fatto dei proseliti, il film di Haneke a tratti lo ricorda ma manca del tutto del lirismo del film di Kubrick ma compensa con una componente ansiosa che è quasi del tutto assente nel film di Stanley.
Questo film è tra i più angoscianti che io abbia mai visto, un film crudo che racchiude un messaggio inquietante: la violenza e la morte possono giungere anche sotto forma di gioco.
C’è una famiglia borghese felice che viene sottoposta alle peggiori e umilianti torture da due psicopatici(c’è forse un senso di invidia da parte loro nei confronti di questa famiglia privilegiata?), una famiglia che accetta con rassegnazione ogni umiliazione e tortura(e qui mi pongo una domanda: come possono due genitori rimanere impassibili davanti alla violenza che viene perpetrata sul loro bambino? Il padre in particolar modo, capisco la gamba ferita ma possibile che non fa nulla per difendere la sua famiglia? Che subisca così senza reagire?) ma forse l’intento di Haneke è proprio questo, mostrare che nella vita purtroppo non esistono supereroi pronti a salvarci.
Il finale è un qualcosa di agghiacciante, come se qualcuno mi avesse gettato addosso un secchio colmo di acqua gelida.
Uno dei film più devastanti dal punto di vista psicologico che abbia mai visto, un film crudelmente intelligente(la scena del rewind è in assoluto un colpo di genio) che mostra come davanti alla violenza più inaudita rimaniamo impotenti.

Uno dei film più angoscianti e strazianti che abbia mai visto.

E vero che ricorda Arancia meccanica, ma è totalmente scevro del senso di armonia e bellezza visiva e sonora che connota il capolavoro di Kubrick, così che l’impatto risulta totalmente differente.

Non voglio anticipare nulla della trama, ma vi dirò che le frequenti rotture della quarta parete puntano il dito contro la fama di visibilità di chi vuole “celebrare” le proprie gesta, non importa se buone o crudeli, e dall’altra parte sono una critica allo sadismo dello spettatore moderno.

Il film è geniale perché punzecchia costantemente lo spettatore il quale diventa protagonista passivo e inerme di fronte alle atrocità che accadono. Questo effetto è prodotto dal rapporto costante che uno dei violentatori instaura direttamente con lo spettatore il quale ha la sensazione di essere a sua volta vittima del “gioco”. I due violentatori, infatti, leggono nella mente dello spettatore fino a ridicolizzarlo (la scena del telecomando che manda in rewind la pellicola); invano si cerca di trovare un senso alle violenze a cui si assiste.
La critica al modello hollywoodiano e alla spettacolarizzazione della violenza che genera assuefazione (e quindi indifferenza, la stessa dei due delinquenti protagonisti del film) è quindi ampiamente riuscita.