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Confidenze troppo intime

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Finiamola. E ricominciamo / 16 Febbraio 2016 in Confidenze troppo intime

Il voyeurismo del racconto; singolare che sia il cinema a prendersene carico, rinunciando di fatto a mostrare immagini e prediligendo la parola come mezzo erotico, intraprendendo la complessa strada del racconto sospeso tra eros intellettuale e psicanalisi.
La singolare tresca inizialmente vigilata dalla presenza – piuttosto discreta, ma comunque d’impaccio – della vecchia segretaria Mulon, sembra liberarsi progressivamente di ogni impedimento, un po’ come la Bonnaire che inizialmente non toglie neanche cappello e impermeabile per poi finire a indossare camicette leggerissime. Eppure il meccanismo ha un limite, oltre al quale si spezza l’incantesimo. Oppure si ricomincia daccapo.
“Questa porta semiaperta sul mondo femminino è difficile da richiudere” è la sentenza perfetta dello psichiatra dott. Monnier, un convincente Michel Duchaussoy.
La cinepresa di Leconte è un po’ forzatamente instabile, a volte anche nei primi piani sembra quasi impercettibilmente scossa da un tic.
Semplice ma notevole il contrasto tra sequenze che sottolineano i diversi stati d’animo nella solitudine del protagonista, un bravissimo Luchini, come il raffronto tra l’ esilarante balletto allo specchio su ‘In the Midnight hour’ e la ripresa di spalle sulla poltrona, sulle note di un adagio funebre davanti a un bicchiere di vino rosso.
Uno scontato hitchcockiano sottofondo di archi banalizza un po’ quest’opera strana, difficilmente collocabile in un genere.

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2 Febbraio 2013 in Confidenze troppo intime

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Un’altra storia di coppie e di opposti che si attraggono, per un Leconte che, però, mi affascina sempre, perché -sempre- sa inventare nuovi intrecci narrativi, pur modellando situazioni già sperimentate.
Questa, per esempio, complice anche la presenza di Sandrine Bonnaire, mi ha ricordato decisamente il precedente L’insolito caso di Mr. Hire, vuoi per la solitudine (di fondo, gradita) del protagonista, vuoi per il gioco della “finestra di fronte” à la Simenon.

L’inizio della pellicola è strepitoso e mantiene il tono del film sul gradevole andante, con tocchi di vivace commedia degli equivoci, per tutta la prima metà, complice una gran bella caratterizzazione dei personaggi, segretaria compresa.
Dalla seconda parte in poi, la storia si incupisce, assume toni drammatici un po’ soffocanti, dilungandosi leggermente.
La sequenza finale, però, riporta per pochi istanti il registro a quello iniziale, con mio grande compiacimento.

Di questo film ho apprezzato molto le scelte scenografiche: per esempio, lo studio del fiscalista è un guscio immacolato e perfetto nella sua completezza, tanto che egli lo riproporrà tale e quale nella nuova casa. Si è distaccato materialmente ma non psicologicamente dal precedente alloggio, al punto da riprodurlo altrove nella disposizione e della mobilia, perché -egli sottende- i cambiamenti sono necessari, ma solo fino ad un certo punto.

L’inquadratura finale, sintesi della nuova fase della sua vita privata, mi è piaciuta molto: mostra i personaggi, la stanza in cui si muovono e gli arredi della stessa come se si trattasse di una casa di bambole. Voluta metafora o semplice gioco estetico?

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